Gli articoli
La Repubblica, 27/03/2010, R2
I GOL DEL PICCOLO SILVIO
«Non modenesus erit cui non fantastica testa», scriveva nel Cinquecento Teofilo Folengo, alias Merlin Cocai, l' autore del Baldus. Nessun modenese senza una testa piena di grilli. E conta poco che il modenese sia di origine ghanese, e abbia chiamato il figlio Silvio Berlusconi. Aggiungendo come cognome il suo, Bohaene. Misteri della politica, e della vita modenese. Il piccolo Silvio Berlusconi Bohaene gioca a calcio e non disturba; il padre canta e fa concerti, oltre che lavorare come operaio metalmeccanico; entrambi sono stati assaliti dalla stampa. Il papà ghanese ha dichiarato una certa simpatia politica per il premier, dichiarando che gli piace come parla. È la leggera follia dei genitori, quando non si rendono conto di marchiare i figli per tutta la vita. «Scusa, come ti chiami» - «Silvio Berlusconi Bohaene». Accidenti. Nel frattempo il piccolo calciatore è diventato una star, aspetta con fiducia una telefonata dal capo del governo, insomma, la sua vita è cambiata. Sembra di vedere la carriera del pedatore Mariga, di recente assunto dall' Inter, un bravo keniano che di nome fa, incredibilmente MacDonald. MacDonald, capito? Immaginate voi che cosa significa avere un figlio con quel nome, con la puzza di fritto addosso. E i genitori che glielo affibbiano: gol.
La Repubblica, 20/03/2010, R2 CULT
CHI HA PAURA DELL’ URLATORE
Al posto di un talk show in cui tutti urlano sguaiatamente, chiameremo uno dei vecchi urlatori, anzi, il primo degli urlatori, quello che sconvolse gli italiani fra la fine degli anni ' 50 e l' inizio dei ' 60, e lo inseriremo nel programma shock di Michele Santoro da Bologna, quello con tutte le star della televisione parlata. Vince l' urlo dell' urlatore o il parlatore? Ma non bisogna mai sottovalutare Adriano Celentano: dalla Rai gli hanno chiesto le scalette dei suoi interventi, come se a Celentano si potessero chiedere le scalette con tre settimane di anticipo. Ma no, il Molleggiato è un improvvisatore, non gli si può chiedere lo schema del suo intervento con pochi giorni di anticipo. Ha bisogno di mesi o di anni. È a questo punto che le strutture della Rai hanno cominciato a vacillare. D' altronde, c' è un segreto di Pulcinella che va conservato con ogni segretezza, davanti all' immenso pubblico della Rai. Guardate bene Berlusconi. Le fattezze, i gesti, la calvizie. Come confessò Gianni Agnelli a Luca Cordero di Montezemolo dopo che Berlusconi disse di ispirarsi all' Avvocato: «Luca, quello non assomiglia a Celentano, quello è Celentano». Ecco, chiamare a Bologna l' originale di Berlusconi anziché la copia, questo sì sarebbe stato una rottura delle regole, e la Rai, naturalmente, si adegua.
La Repubblica, 17/03/2010, LETTERE, COMMENTI & IDEE
LA SINDROME DEL PADRONE
LA QUESTIONE politica, e ormai anche strutturale e storica del rapporto fra Silvio Berlusconi e la giustizia, è diventata una questione di sistema, perché fra il premier e le articolazioni della magistratura è scattata la guerra totale. Ormai Berlusconi sta accentuando il suo ruolo proprietario, in quanto il premier tratta da padrone le istituzioni giudiziarie e le autorità neutrali. Lo si vede con l' atteggiamento assunto verso la procura di Trani, trattata come un tassello del complotto che si starebbe sviluppando contro la presidenza del Consiglio, con una funzione schiettamente politica, e con le parole rivolte verso l' AgCom, considerata semplicemente come un pezzo dell' immensa manomorta berlusconiana. Sotto questa luce, è l' intera Italia a essere di proprietà del capo del governo. Nel silenzio dell' opinione pubblica, e nella sostanziale acquiescenza delle opposizioni, Berlusconi ha aumentato a dismisura il suo potere, anzi, le sue proprietà. Si è sentito autorizzato a intervenire sull' Agenzia per le comunicazioni con l' atteggiamento e con le parole del padrone, insofferente di normee convenzioni,e incapace di trattenersi: «Ma non riuscite neppure a chiudere Annozero ?». «È una questione di dignità», dice al commissario Giancarlo Innocenzi, «Ti ho messo io in quel posto». Quindi regolati di conseguenza. Il che dimostra la sua intuizione di essere, più che un politico, un imprenditore senza limiti etici, cioè con la possibilità di conquistare tutto, con la violenza di una funzione anti-istituzionale che si esercita giorno per giorno. Si instaura così un nuovo triangolo delle mille sfortune, tra la presidenza del Consiglio, la magistratura e l' Agenzia per le comunicazioni. Al centro del triangolo si è collocato, con la sua consueta forza strategica, il premier Berlusconi. Ormai da anni sta insistendo che in Italia c' è un problema da risolvere, ed è quello del rapporto fra la politica e la magistratura. «Alcune procure», secondo il premier, che non ne ha mai citata una, composte da «toghe rosse», da «giudici comunisti», stanno conducendo una battaglia «contro la democrazia», nel tentativo di liquidare per via giudiziaria il capo del governo. In queste condizioni, il "padrone" Berlusconi tenta di frenare il funzionamento dei processi che lo riguardano, come quello contro l' avvocato inglese Mills e i processi All Iberian e i diritti televisivi. Ma dal sistema penale spuntano casi giudiziari a iosa, in modo anche casuale come quello di Trani, per cui a suo modo, nella sua logica proprietaria, Berlusconi ha ragione: come è possibile che, possedendo tutto, gli sia impossibile controllare tutto ciò che possiede o crede di possedere in virtù del voto popolare, compresi i processi e le inchieste giudiziarie? E come mai non è possibile, da parte sua, padrone assoluto dei media, controllare il sistema televisivoei programmi politici di approfondimento e di dibattito? Che ci sta a fare l' Agenzia per le comunicazioni, se non esegue i comandi che vengono dall' alto? Naturalmente Berlusconi ignora, volutamente, la complessità del sistema della comunicazione pubblica. Ai suoi occhi basterebbe una telefonata all' Innocenzi di turno per stroncare un programma come quello di Michele Santoro (o come il salotto di Floris o della Dandini), considerato da mesi una delle «fabbriche di odio» nei confronti del premier e del Popolo della libertà. È una situazione disperata, quella di Berlusconi, che lo induce a gesti disperati, o almeno terribilmente disinibiti, nel senso che fanno a pezzi il tessuto generale delle istituzioni del nostro Paese. Il "padrone" non riesce più a comandare, il suo partito si sta sfaldando, e i vari cacicchi cercano un' area di autonomia personale e politica. Berlusconi teme una "sindrome francese" e una sostanziale non vittoria alle elezioni regionali. Paradossale situazione del padrone che non riesce a spadroneggiare fino in fondo, pur cercando di farlo in tutti i modi. C' è una contraddizione intrinseca nell' azione di Berlusconi, e la formula proprietaria o "padronale" la riassume tutta, senza risolverla. Ma la questione è: in una democrazia può il capo del governo rivolgersi come un padrone alle autorità di garanzia? © RIPRODUZIONE RISERVATA
La Repubblica, 13/03/2010, R2 CULT
RONALDINHO E ARLECCHINHO
Ronaldinho? Arlecchinho, servo del Cav. B! Per perdere le coppe europee c' è il metodo domestico, che consiste nell' affidare la squadra a un allenatore molto giovane, preoccupato soprattutto della propria acconciatura. Per fare felice il Padrone e quindi mettere in campo la stella Ronaldinho, Leonardo inventerà un modulo denominato "4-2-fantasia" che sulle prime stupirà il mondo, e poi crollerà miseramente per i propri squilibri. Intanto il bel Leonardo continuerà a massaggiarsi i capelli e a rilasciare interviste autoassolutorie nel suo ottimo italiano, che finora è l' apporto migliore al campionato. Quanto al Real Madrid, che aveva ingaggiato i due giocatori potenzialmente più forti al mondo, cioè Cristiano Ronaldo e Kakà, ormai annaspa fra le pieghe del torneo spagnolo. L' unica spiegazione tecnica è il tiro mancino internazionale, visto che gli abbiamo rifilato un Kakà afflitto da pubalgia cronica, "maldidos los italianos". Intanto il Manchester straccia il Milan con una goleada, tanto che ci si chiede: ma che cos' hanno in più questi qua? E la risposta in fondo è semplice: hanno l' attaccante Rooney, che ha la silhouette di un birraio ma al momento è il più forte centravanti del mondo. Mentre noi abbiamo Ronaldinho, l' Arlecchinho che, pur essendo servo del suo padrone, non sempre ha voglia di giocare e il mondo stupir.
La Repubblica, 06/03/2010, R2 CULT
IL PETROLIO DI DELL’ UTRI
Il senatore Dell' Utri è un vero bibliofilo. In quanto tale, non si fa scappare niente: libri falsi, libri tarocchi, libri farlocchi. Aveva cominciato con i diari di Benito Mussolini, autentica araba Fenice letteraria del Novecento, comprati attraverso transazioni complicate: meritevoli comunque di una memorabile, in quanto breve e definitiva, demolizione filologica di Luciano Canfora. Ma uno non è un bibliofilo per nulla, non si ferma di fronte a certe inezie. Dell' Utri è andato in giro per l' Italia a presentare i presunti diari del cavalier Benito, in mezzo a radunate di gente nostalgica che godeva al pensiero che Mussolini non fosse così fesso. Incoraggiato dai successi di pubblico, se non proprio di critica, Dell' Utri ha recuperato il capitolo mancante del Petrolio di Pier Paolo Pasolini. Libro forse ancor più misterioso dei diari di Mussolini, libro misteriosissimo. Che nei suoi capitoli più misteriosi potrebbe rivelare sviluppi singolari sulla morte di Enrico Mattei, e forse sul ruolo avuto nella vicenda da Eugenio Cefis. Ma si sa che il petrolio è materia grassa, è una possibile macchia antiecologica che imbratta le pagine. Sicché l' ultimo capitolo dell' opus magnum pasoliniano, grazie a Dell' Utri, potrebbe rivelare un libro unto. Petrolio, senatore, una macchia nera nella letteratura italiana!
La Repubblica, 27/02/2010, R2 CULT
GELMINI E LA BOMBA ATOMICA IN AULA
Con l' espressione un po' così, e comunque assertiva, che ha una professoressa di francese mentre prova a spiegare in classe la teoria della relatività di Einstein, oppure di una insegnante di matematica che si impegni seriamente, corrugando la fronte, nella spiegazione dello Zibaldone di Leopardi, il ministro dell' istruzione Mariastella Gelmini ha enunciato il suo fervente credo modernista: occorre fare tutto il possibile per informare gli studenti sui rischi delle centrali nucleari, «che sono davvero limitati». Ad alcuni, i più anziani in fatto di energia atomica, ha fatto venire in mente ciò che disse Adriano Celentano sul referendum contro il nucleare a Fantastico nel 1987, quando era un vero «figlio della foca», ecologista convinto e antinuclearista doc: «Dite sì al nucleare, e vi ritroverete la bomba atomica in cucina». Nel frattempo, in tutti questi anni, dev' essere cambiato qualcosa. Che un ministro salga in cattedra e progetti di organizzare commissioni con medici e specialisti vari per inaugurare programmi di informazione sull' energia nucleare è piuttosto curioso. Tanto da far venire in mente quel vecchio Celentano e da imitarlo, il grande Adriano: «Votate Mariastella Gelmini e vi troverete la bomba atomica in aula».
La Repubblica, 21/02/2010, PRIMA PAGINA
LA TIRANNIA DEL TELEVOTO
SI PENSAVA che con il nazional popolare, impersonato dalla «zia» Antonella Clerici, il Festival di Sanremo sarebbe precipitato negli ascolti. E invece il televoto ha provocato la rivoluzione. Boom di spettatori e un' autentica bufera, con i professori dell' orchestra che hanno contestato il verdetto che ha portato in finale l' erede dei Savoia. Il televoto ha eliminando artisti ritenuti più meritevoli. Dunque, dopoi fischi del pubblico, gli orchestrali hanno stracciato gli spartiti. Chi pensava che Sanremo avrebbe raccolto solo il pubblico della tv generalista, pensionate, casalinghe e anziani in poltrona, s' è sbagliato clamorosamente. Non si era calcolato fino in fondo il ruolo del televoto, che aveva già avuto un effetto vistoso l' anno scorso, portando alla vittoria Marco Carta, un vincitore di Amici di Maria De Filippi. Quest' anno l' effetto sorpresaè stato il ripescaggio di Pupo e Emanuele Filiberto, in una specie di burrasca sociale: la clemenza del cielo sembrava averci liberato dalla canzone Italia amore mio, ma il televoto non ha avuto pietà. Pupo e il virtuale erede al trono dei Savoia sono stati ripescati dal voto popolare. E così ci siamo ritrovati con le nostre case invase dal trash più trash. Uno dice: Sanremoè Sanremo, una dose di kitsch c' è sempre stata. Abbiamo visto Loredana Bertè con il pancione finto, a suo tempo, dovremmo scandalizzarci per Pupo e l' eroe di Ballando con le stelle? Ma neanche per sogno, non scherziamo. Al massimo ci si può scandalizzare per le giurie «giovani», disposte a tutto pur di confermare la loro egemonia televisiva. Immense platee che si collegano con il telefonino cellularee votano per i loro personaggi preferiti in una forma di nuovo cannibalismo, che cambia l' audience dei programmi. E trasforma la funzione dei telespettatori, portandola da passiva ad attiva. I poltronati dell' Ariston hanno accoltoa fischi i ripescati Pupo e Emanuele Filiberto, ma sono ancora fra i pochi che credono nel valore delle canzonie magari se la prendono se la loro preferita viene esclusa a vantaggio del Principe canterino. Ingenui, ciò che importa è soltanto lo spettacolo. E lo spettacolo di Sanremo non ha valutazioni alte e valutazioni basse. Tutto il palco dalla Clericia Dita von Teeseea Jennifer Lopez, vale lo stesso voto. Solo i critici si ostinano a dare voti alti a Malika Ayane e Irene Grandi, ma forse sanno anche loro che uno dei piaceri più sottili del Festival consiste nel vedere bocciate le canzoni che piacciono di più, per arrabbiarsi meglio. Tanto fra pochi giorni ce le saremo dimenticate. E nella memoria resterà soltanto lo splendore e il luccichio del teatro Ariston. Ci ricordiamo, per dire, i ritornelli o qualche strofa delle canzoni di cinquant' anni fa, e tra poche settimane avremo invece dimenticato quelle di oggi. Forse siamo semplicemente invecchiati o forse è invecchiato il Festival, nonostante il televoto. Che dire allora? Ma niente se non Italia amore mio, con la giusta enfasi. Tanto si sa che è un' Italia di cognati, un paese gelatinoso, dove persino l' ultimo dei Savoia, in questa terra dei cachi, meriterebbe il trono da re, o da tronista. © RIPRODUZIONE RISERVATA
La Repubblica, 20/02/2010
L’ AMBIENTALISTA RILUTTANTE
HA ADERITO anche il comune di Napoli. Vuol dire che anche il Sud dice sì alla campagna antismog lanciata da Sergio Chiamparino e Letizia Moratti, campagna che finora ha raccolto il consenso di ottanta comuni della Pianura padana. Dunque, ci sarà il blocco del traffico per tutta la giornata di domenica 28 febbraio. Bene, a questo punto facciamo un modesto esperimento. Proviamo a chiedere a un automobilista qualsiasi qual è il suo giudizio sull' iniziativa dei due sindaci e dei loro ottanta seguaci. Avremo una risposta soltanto: non serve a niente. Verranno addotte le ragioni scientificamente più interessanti, ed ecologicamente più originali. Accompagnate da un diluvio di Euro 2 e Euro 3. Verranno esibite vetture pluridecennali con il motore convertito a metano: inquinano più o meno di quelle a benzina? Mostrerete la mappa della Valpadana, con la pianura coperta da una coltre di smog; vi risponderanno qualsiasi cosa: che tutto dipende dagli scarichi dei camioncini diesel, dal riscaldamento nei caseggiati che hanno caldaie obsolete e altamente inquinanti. Tutto, ma proprio tutto, fuorché la normale, quotidiana, banale routine automobilistica. Già: l' automobilista vero rifiuta di essere colpevolizzato. Non dipende da lui l' aria irrespirabile e l' assillo delle polveri sottili. Quando appare sul teleschermo il governatore della regione Lombardia, Roberto Formigoni, che annuncia trionfali risultati sul controllo della pulizia atmosferica («in Europa, terzi qui, quinti là») risponde con uno sbrigativo "chi se ne frega", e non rinuncia a pensare che ancora una volta il governo non aumenta le tasse, ma qualcuno aumenta il carico sull' auto, vuoi con l' ecopass a Milano, ora con la proposta di Chiamparino di incrementare «lievemente» i pedaggi sulle autostrade e le tangenziali. Curiosa però questa faccenda, con lo Stato che quando vuole, e quando può, e se il ministro Scajola non litiga con la Fiat per la chiusura dello stabilimento di Termini Imerese, concede sostanziosi incentivi alla rottamazione per tenere alta la domanda, e dall' altro lato si riprende tutto quanto con le tasse sulla benzina e tutti gli altri ammennicoli tributari che gravano sulla macchina. Dare con una mano e prendere con l' altra. Ma ciò che colpisce di più, in questo festival antismog,è il pensiero che ottanta comuni, oltre a quelli che presumibilmente si aggiungeranno, possano coordinarsi per raggiungere lo stesso risultato. All' ora X, si spengano i motori. Sembra quasi che una super-chiave d' accensione possa spegnere il grande Nord (dirlo a Umberto Bossi o a Roberto Maroni sembra inutile, perché a occhio il leghista celodurista ama lo smog e l' odore del fumo del tubo di scarico: «Questi disgraziati fanno fallire Copenaghen, i trattati, il riscaldamento globale contro il riscaldamento centrale, e poi vogliono attribuire tutte le colpe a noi»). Potrebbe accadere che tutti gli ottanta comuni e più spengano il motore nello stesso momento. Sarebbe il trionfo dell' italianità, un numero al miglior Bertolaso, un exploit simile alla cerimonia d' apertura delle Olimpiadi. Fuori dalle boutade: bisognerebbe convincersi che l' impatto ambientale delle automobili merita attenzione. Ed è curioso che pochissimi accettino l' idea del ricorso al blocco delle auto. A parole, l' italiano che fuma tutto contento vicino allo scappamento è un ambientalista convinto. Nei fatti, cerca spiegazioni enciclopediche, tratte anche da Wikipedia, per trovare giustificazioni alla propria riluttanza verso quello che giudica un vero anti-automobilismo. Soltanto la pubblicità televisiva, con le vetture che compiono improbabili esercizi di equilibrismo, e la voce cavernosa sullo sfondo scandisce «Wir leben Autos», può costituire un palliativo. Ma sono pannicelli caldi: e a che cosa servono i pannicelli caldi quando tu hai il "Klima" incorporato?
La Repubblica, 20/02/2010, R2 CULT
MANGIAGATTI E NO
In pieno Cinquecento, Teofilo Folengo, nel poema maccheronico Baldus, passa in rassegna i "tipi" italiani. I milanesi che lavorano come matti, i fiorentini che fanno burle, Napoli popolata da baroni falliti. Un catalogo di luoghi comuni efficace ancora oggi. Giunto nel Veneto, scrive che "saltantes generat bellax Vincentia gattos"; cioè che la bellicosa Vicenza alleva gatti prontissimi a scattare (per paura di essere cucinati dai vicentini "magnagàti"). Oggi l' esperto di cucina Beppe Bigazzi espone in tv la ricetta per cucinare i felini, e c' è da preoccuparsi visto che Bigazzi è stato amministratore delegato dell' Agip, quindi di fornelli a gas se ne intende. Bigazzi tuttavia è il Morgan dell' homo carnivorus, prima lancia il sasso e poi ritira la zampa. Dice che il gatto va lasciato per tre giorni nel torrente, in modo che le sue "carnine bianche" risultino perfettamente frollate, e poi racconta che ha avuto in casa un gatto di nome Ciro, morto serenamente di vecchiaia. Io comunque sto con il grande scrittore Jonathan Safran Foer, il quale sostiene che le attività legate all' allevamento del bestiame generano più emissioni di gas serra di tutti i mezzi di trasporto presi insieme. Di fronte alla bistecca con il tubo di scappamento mi dico; non sono vegetariano, ma quasi. © RIPRODUZIONE RISERVATA
La Repubblica, 15/2/2010, R2
Così si spegne la televisione dei ragazzi
Melevisione addio. E quindi tanto vale approfittare di questa perdita per ragionare sul ruolo della tv «per ragazzi». Anche se oggi è difficile distinguere fra un pubblico di giovanissimie uno di adulti, fra un mondoe l' altro, fra una psicologia cresciuta e un universo ancora infantile. Quando la televisione era povera, democristiana e moralista offriva un servizio dedicato con chiarezza alla propria clientela: nessuno allora parlava di audience o di share, al massimo si studiava l' "indice di gradimento", sulla base delle accurate interviste realizzate da solerti signorine sul territorio: ma il marketing è il marketing, in qualsiasi epoca. Nei primi tempi della Rai, la Tv dei ragazzi non era una parte residuale nel palinsesto dell' unico canale pubblico. Anzi, la tv nazionale si caratterizzava p e r u n ' o f f e r t a molteplice rivolta a settori specifici di spettatori: al pubblico generalista con gli sceneggiati come Una tragedia americana, all' Italia premoderna con il programma pedagogico Non è mai troppo tardi del maestro Manzi, e ai giovani o giovanissimi con lo spazio intitolato La tv dei ragazzi. Ma forse sarebbe sbagliato considerare la Tv dei ragazzi semplicemente uno "spazio". La televisione-contenitore non era ancora stata inventata. Era invece un vero e proprio appuntamento quotidiano. Qualcosa che interrompeva lo studio e talvolta radunava gruppi di amici. I pomeriggi si qualificavano nell' immaginario infantile (e non soltanto infantile) di massa per telefilm come Avventure in elicottero, o per le serie di Rintintin e di Lassie. Tuttavia il programma che ha creato una vera fedeltà nei giovani spettatori degli anni Cinquanta e Sessanta è stato Chissà chi lo sa?, un' altra trasmissione "scolastica", che tuttavia determinava fenomeni di identificazione nel pubblico, e tifoserie divise fra le squadre nell' arena. «Squillino le trombe, entrino le squadre», proclamava Febo Conti, ed era subito competition. Forse il segreto della Tv dei ragazzi era la combinazione, potremmo dire con il lessico di oggi, di fiction e di programmi in diretta. Intere generazioni sono cresciute aspettando la puntata settimanale della saga di Ivanhoe, interpretata da un giovane e atletico Roger Moore; mentre la domenica era monopolizzata da Giovanna, la nonna del Corsaro nero, uno sceneggiato musicale vagamente salgariano, scritto da Vittorio Metz e interpretato fra gli altri da Giulio Marchetti e Pietro De Vico, di cui furono realizzate tre serie a partire dal 1961 (per inavvertenza, tutte le puntate furono cancellate, e quindi non esiste traccia di questa serie di eccezionale successo popolare). La Nonna era interpretata da Anna Campori, la sigla è ancora nella memoria di molti: «Un doppio urrah per Nonna Sprint, la vecchia ch' è più forte di un bicchiere di gin...». Qualcosa si può trovare su YouTube, ma si tratta di pochi frammenti. La Melevisione a sua volta è il risultato di una reinterpretazione del genere fantasy, ma costituisce soprattutto una riserva di senso dentro una televisione fatta di automatismi e di format. Riuscire a portare i giovani telespettatori, un pubblico d' élite, naturalmente, dentro il «Fantabosco» e la «Piana del re», nella folla dei singolari, fiabeschi personaggi della Melevisione, implica uno sforzo creativo ragguardevole, esercitato con passione per oltre dieci anni (la Melevisione esordisce il 18 gennaio 1999), di cui c' è da essere grati agli autori e all' apparato di produzione del programma. Adesso sembra proprio che la Melevisione sia destinata al digitale terrestre. Era un frammento, piccolo, di televisione strappato chissà come alla esondante volgarità della tv generalista e commerciale. RaiTre ha il merito di avere mantenuto questa riserva indiana e di averla proposta per anni a un pubblico di modesta entità numerica ma via via più fidelizzato e consapevole. Sono, o erano, bambini e ragazzini, dai quattro ai quattordici anni, che hanno avuto la forza di sintonizzarsi su un programma in netta controtendenza riapetto ai palinsesti correnti. Non si spiega altrimenti, se non per il successo "intellettuale" del programma, la sua durata e la permanenza pluriennale nel palinsesto della Rai: nessuno fa programmi per beneficenza. E questo spiega anche il successo «commerciale» della Melevisione, il che significa avere individuato una fascia di pubblico e avere offerto un prodotto per essa attraente. Di più: la sola e unica forma di spettacolo offerta al pubblico più giovane, al di là dei cartoni animati. Adesso si celebrano canti di lutto. L' intero gruppo della Melevisione (una cinquantina di persone) teme l' oscuramento, e di conseguenza la scomparsa, o un ridimensionamento brutale. È un atteggiamento naturale, ma oltre alle condizioni in cui si troverà lo staff del programma, in linea più generale occorrerà vedere come il giovane pubblico della Melevisione sostituirà il programma nel proprio portafogli di preferenze televisive. Nulla resta vuoto nella televisione; e dunque niente è più facile che il telecomando dei teenager scivoli per inerzia verso Canale 5, e cioè verso Uomini e donne di Maria De Filippi. Quindi si assisterà semplicemente a una «sostituzione di immaginario»: l' immaginario costituito dai panorami favolistici della Melevisione verrà sostituito dall' immaginario pop e trash della televisione commerciale, con i suoi tratti iper-realistici. Al posto del folletto Milo Cotogno e di Lupo Lucio, di Re Quercia e della Principessa Odessa, arriveranno nelle case, anche in quelle che ne erano esenti, tronisti e concorrenti pieni di gel. Sarebbe ingenuo affidare a un programma come la Melevisione la trincea di resistenza rispetto ai programmi di autentica tendenza, le trasmissioni che portano a un' identificazione pressoché totale con i protagonisti dell' iper-realtà televisiva. Piuttosto, c' è da pensare che dopo la De Filippi viene necessariamente, per pura grammatica televisiva, Grande Fratello. E quindi lo stordimento televisivo comincia dove finisce la Melevisione. Sembra nulla, un' ovvietà, ma la televisione è fatta di abitudini, di gesti automatici, di zapping. Non trovare su RaiTre l' appuntamento con l' isola felice della Melevisione non è una perdita in sé: è il segno che nella televisione di Stato qualcuno ha abdicato a un ruolo. Non che la tv debba avere per forza un ruolo pedagogico; tuttavia perdere la Melevisione, con la sua leggera fantasy spedita nel regno oscuro del digitale, significa che la televisione pubblica relega se stessa a un ruolo secondario. I ragazzini se ne faranno una ragione, scivolando verso i giochi machos della De Filippi. Ma forse sono i genitori che dovrebbero preoccuparsi: avere in casa un ragazzino felice della sua età, che scherza sull' Orco Manno e sull' Orchessa Orchidea, in fondo è piuttosto diverso dal trovarsi di fronte a un emulo di Fabrizio Corona, pronto a scivolare nel mondo stregato di Amici, in uno scenario estetico, e filosofico, fatto di lampade Uva e di tatuaggi.
La Repubblica, 13/02/2010, R2 CULT
GIÙ LE MANI DAI CANTAUTORI
Nell' impossibilità di mandarci il povero Morgan, Pier Luigi Bersani ha deciso di andarci lui, a Sanremo. Gli intellettuali della fondazione finiana FareFuturo si sono subito emozionati, e hanno mandato una provocatoria offerta di scambio: voi vi tenete le canzonette, quelle di "cuore e amore", mentre noi ci prendiamo i cantautori, vale a dire tutta la filiera intellettuale da De Gregori a Guccini. Non si capisce bene, per la verità, come si possano «prendere» i cantautori. Li si fa prigionieri? Li si mette in catene e li si costringe a cantare su moduli blues il nuovo inno del Pdl, quello intitolato Meno male che Silvio c' è? Perché poi, questi cantautori, saranno pure liberi individui anche loro, e quindi più o meno capaci di scegliere da soli la parte politica che vogliono. Ma forse si tratta del solito gioco mediatico. Si lancia una proposta, per assurda o illogica che sia, per vedere di nascosto l' effetto che fa. Quindi la scelta di Bersani di andare nella platea del Teatro Ariston è coerente. Vediamo che effetto fa ai finiani. Quanto a Bersani, faccia un elenco aggiornato dei cantautori di ogni ordine e grado: quelli loffi, li diamo alla destra volentieri.
La Repubblica, 6/2/2010, R2 CULT
TV MORALE & PAILLETTES
A parte Morgan, che rinuncia a un' apparizione televisiva di cinque minuti a Sanremo durante due ore di presenza televisiva a Porta a porta, ci vorrà un po' di memoria storica, per il Festival e fuori dal Festival, e nel mondo artistico più generale, per confrontare comportamenti privati e moralità tv: con la banale consapevolezza che l' etica pubblica richiesta a cantanti e attori è esattamente il contrario di ciò che appare in via non troppo subliminale in tv. Se non castità, almeno sobrietà, ecco ciò che si pretende nei momenti topici dell' etica da talk show; ma nel frattempo, in ogni programma, le ragazze sono seminude e i protagonisti maschili, i tronisti o aspiranti tali, cercano di proporsi come sex heroes. Sicché fa lievemente sorridere Morgan, ridiventato nella nostra civiltà Marco Castoldi, che dopo essersi presentato come l' artista maudit, ogni volta citando Rimbaud e Verlaine, viene tutto contrito a Porta a porta a tenere discorsetti morali su quanto è brutta la droga. Sono metamorfosi che avvengono nel giro di quarantott' ore, e quindi valgono ciò che valgono. Abbiamo avuto anche ex capi di governo che hanno rivendicato l' uso della cocaina in via terapeutica, e qui vale il diritto all' oblio. D' altronde, sarebbe il caso di ricordare che scandali ed etica televisiva convivono da più di mezzo secolo, coca o non coca. Una volta non erano necessari additivi chimici per uscire dal gruppo. A Sanremo, Festival del 1959, la cantante Jula De Palma, apprezzatissima dai musicisti dell' epoca come Lelio Luttazzie Gorni Kramer, si giocò praticamente la carriera con l' interpretazione troppo sexy, languida, profonda, sensuale di Tua (Pallesi-Malgoni), guadagnandosi l' esorcismo della tv braghettona, nonostante il quarto posto sancito dalle giurie dell' epoca e una serie di successivi successi personali. ra uno scandaletto da niente. Ma quasi ufficializzato da "funzionari Rai", anonimi che evidentemente si consideravano titolari dell' etica e non potevano rinunciare a marcare il territorio della morale in tv. Il vero scandalo successivo fu l' annuncio della maternità di Mina, uno schiaffo ai codici dell' epoca, che comportò la scomunica, o meglio la squalifica, della cantante a causa del suo legame con l' attore Corrado Pani («coccolato dal bel mondo femminile milanese e romano», sposato da tre anni con Renata Monteduro). Come accade ai grandissimi, a soli vent' anni Mina accolse le sanzioni della Rai con perfetta souplesse, e si mise a polemizzare con preti vari, sostenendo che invece di condannare la peccatrice dovevano andare alla ricerca della pecorella smarrita. Ci fu uno scambio di lettere pubbliche con una delle massime autorità del tempo in fatto di morale, padre Virginio Rotondi, mentre Mina era divenuta spregiativamente "l' urlatrice": il sacerdote invocava la morale cristiana e lei ribatteva con lieta, evangelica sfrontatezza «chi è senza peccato scagli la prima pietra», finché padre Rotondi concluse la diatriba concedendo il perdono e dicendosi disposto, per dare un segno cristiano, a dare «la mia stessa vita» in cambio del ritorno della cantante alla grazia cristiana. Esagerazioni d' epoca? Erano tempi in cui i comportamenti sessuali risultavano più plateali sul piano della morale di quanto non fosse la droga. Umberto Bindi vide distrutta la sua carriera a causa della sua omosessualità, talvolta crudelmente rilevata dal pubblico nei teatri. Era forse il migliore cantautore italiano, ma penalizzato dall' aspetto fisico, dall' abbigliamento esagerato e da atteggiamenti gay divistici, come quando contemplava piccoli gioielli in scatoline preziose per reagire alla tristezza (lo scrisse Oriana Fallaci in un memorabile reportage da Sanremo nel 1961). Per arrivare alla trasgressione chimica, quella che fino a qualche stagione fa incuriosiva di più il pubblico (secondo i sociologi ormai la cocaina è una sostanza ludica, diffusa in tutti gli strati sociali), occorre arrivare alle disgrazie giuridiche di Walter Chiari e Lelio Luttazzi: settanta giorni di carcere per Walter Chiari, con l' assoluzione dall' accusa di spaccio e la condanna con la condizionale per il consumo; Luttazzi fu completamente scagionato, ma la sua carriera venne travolta. Era il giugno del 1970, e allora la moralità televisiva doveva essere tutelata costi quel che costi. Dovevano passare alcuni anni per assistere a un altro trucido show della moralità in tv, ossia ai giorni dell' arresto e della detenzione di Enzo Tortora, fermato per associazione camorristica (sette mesi di carcere, dieci anni di condanna sulla parola di alcuni pentiti, e sullo sfondo il traffico di droga). Ma per valutare l' aspetto più "divertente" della cocaina occorre arrivare al re degli sballati, Vasco Rossi, che fin dagli esordi teorizzava, variazioni ortografiche incluse: «Dieci gocce di Valium per dormire melio... Venti gocce di Valium per non restare svelio tutta la notte a contare le gatte, quelle con una macchia nera sul muso nelle soffitte vicino al mare». Lo arrestano una notte del 1984, gli trovano 26 grammi di coca (l' accusa dice che sono gli avanzi di una partita di mezzo chilo), lo spediscono in un carcere vicino a Pesaro, dove rimane per una ventina di giorni. Quattro anni dopo verrà arrestato perché in possesso di un grammo e mezzo. Tuttavia Vasco non sembra prendersela tanto. A Sanremo, nel 1983, aveva cantato con grande successo Vita spericolata, evocando «una vita piena di guai». Poi aveva irriso le autorità morali con Bollicine, dove il riferimento ironico alla coca era trasparente: «CocaCola... e sei protagonista... Coca-Cola... per l' uomo che non deve chiedere mai!». Come dire: siamo tutti nella stessa barca, ragazzi, non raccontiamoci storielle. Si può restare nella normalità e nella moralità televisiva, nell' etica della tv, accettandone i codici ufficiali. Oppure lavorare per linee interne, non immediatamente percepibili: il leader dei Baustelle, Francesco Bianconi, scrive per Irene Grandi una canzone, Bruci la città, che sembra alludere all' irrinunciabilità di un rapporto orale, mentre fuori tutto infuria; oppure sempre i Baustelle che cantano l' "mdma", cioè il principio attivo dell' ecstasy, la droga meno sociale, più individualistica che esista. Ma forse, a pensarci, lo scandalo vero avviene molto prima, con la televisione degli anni Ottanta. È con Drive in che cambiano le modalità e le convenzioni televisive. Dove l' etica diviene doppia. La tv bigotta, pur restando bigotta, lascia insinuare dentro se stessa la tv berlusconiana, sexy, attraente, ricca ideologicamente di una concezione della vita tutta orientata al piacere. " Oportet ut scandala eveniant ". Ma lo scandalo di Morgan è uno scandaletto, dentro all' etica doppia della tv, tutto circoscritto al mondo di X Factor: al momento opportuno, lo punisca Claudia Mori.
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