“Una serie di aneddoti memorabili e ritratti di grandi campioni del calcio, italiani e non, a partire dal grande Mario Corso, il “piede sinistro di Dio”, e da una delle sue mitiche azioni che, come sempre, si concluderà con “il più mancino dei tiri”, il più beffardo, anarchico, eretico dei gol. Il campo di calcio riassume e trasfigura una stagione di storia italiana, in cui si mette in scena una sorta di teatrino nazionale, i cui protagonisti sono i divi del pallone e non solo: si legge di Corso, Suarez, Rivera, Riva, ma anche di Andreotti e Fanfani, Togliatti e Nenni, Gadda e Mina, Gimondi e Romano Prodi…
Ripubblicato da Mondadori nel 2006, Il più mancino dei tiri di Edmondo Berselli è un piccolo saggio scritto a ruota libera che, apparso la prima volta nel 1995 dalla casa editrice Il Mulino parte dal mondo del calcio per arrivare alla politica, alla letteratura, alle varie e molteplici filosofie di vita. Berselli, con la intelligente ironia che lo contraddistingueva, racconta e collega una serie di episodi, dai quali trarre curiosità e ammaestramenti, possibili e seri punti di vista sulla nostra epoca. Il disegno tratteggiato da Berselli disvela un collegamento che univa, e unisce, il calcio alla politica, alla musica leggera, alla storia, che tutto contiene e annulla. Berselli giocava: con le parole, i fatti e le persone, come solo gli spiriti liberi si concedono di fare, “gli altri vivano e muoiano rosicando nel perimetro di un organigramma”. Convocava Gadda e Derrida per metterli al servizio delle dubbie strategie di parón Rocco. Ricostruiva immaginarie riunioni di comitati editoriali intenti a esaminare il suo “anarchico” manoscritto, perla aliena da ogni collana. Inseriva, così, nel testo il metatesto con la leggerezza di un filosofo da strada, che si affida alla sapienza del marciapiede. Procedeva per aneddoti e mai per teoremi, convinto che il divenire fosse una frana sul futuro, più che un’autostrada con molte possibili uscite. La sua apoteosi era l’azione perfetta del gol di Mariolino Corso che dà il titolo al libro e vale il movimento tripartito di Hegel: tesi, c’è una storia, antitesi, non ce n’è alcuna, sintesi, ma già che siamo qui possiamo sempre inventarcela. Attraverso il calcio quindi si racconta un paese e un’epoca, sempre al calcio si ritorna, per raccontarne gli idoli, il folklore di un tempo, un’Italia semplice e ruspante. Il ricordo dell’autore fa emergere la poesia di quella semplicità, il gioco ironico del confronto tra ieri e oggi rimanda a una favola perduta, a una “classe” di calciatori come di uomini che sembra non esserci più. L’autore si diverte ad accostare cose diverse, ad usare la metafora del calcio per dipingere la storia di un paese, sempre più simile a quel segmento sociale esemplare, nel quale predomina l’idea della vittoria ad ogni costo, quindi della sopraffazione per guadagnare sempre più denaro”.