Fino al "numero" dell’Ici, tutti i sondaggi serpeggianti fra i corridoi di partito, commissionati dalle grandi banche, lasciati circolare dalle multinazionali, risultavano omogenei. Per la Casa delle libertà non si poteva parlare di rimonta: anche gli autogol dell’Unione sul fisco erano stati accolti dall’opinione pubblica come una semplice perturbazione, un rumore di fondo che introduceva turbolenza senza modificare sensibilmente le preferenze degli elettori. Ma i giorni successivi all’ultimo confronto televisivo diventavano caldissimi, incendiati dalla volontà del Caimano di giocarsi tutto, proprio tutto. Perfino di offendere deliberatamente, in un intervento alla Confcommercio, gli elettori del centrosinistra, i "coglioni" che non sanno che cosa li aspetta sotto il regime del comunista, altrimenti detto "utile idiota", Romano Prodi. Berlusconi è un talento grandissimo sia quando azzecca il trucco del baro, cioè l’asso che viene fuori dalla manica all’ultimo giro del poker, sia quando pratica la sua tecnica prediletta, il "chiagni e fotti" in tutte le sue varianti. Anche dopo l’accusa di coglioneria ai moderati che votano per l’Unione, accolta con un sentito applauso dai commercianti, ha detto che le sue parole erano state pronunciate con «ironia» e praticamente in tono «affettuoso». Il fatto è invece che il Cavaliere ha ottenuto ciò che voleva: trasformare le elezioni di domenica in un’ordalia, un giudizio di Dio, l’Armageddon tra le forze del Bene e le forze del Male. Un risultato disastroso per una democrazia avanzata, fondata sull’alternanza, cioè sul sacrosanto principio che i governi vengono giudicati alle urne per ciò che hanno realizzato durante la legislatura. Eccoci invece, nonostante i rimbrotti di Carlo Azeglio Ciampi, in piena guerra di civiltà, con ondate di euforia o di panico che si stendono sui due eserciti in lotta. Una battaglia premoderna, in cui la spregiudicatezza berlusconiana sembra riuscita a mettere nell’incertezza un risultato che fino a qualche giorno fa sembrava assodato. Per un esercizio di realismo politico, conviene mettere sul tappeto i tre scenari possibili. La vittoria del centrosinistra, il successo di Berlusconi, e il risultato più controverso, il pareggio. Vittoria dell’Unione Era il risultato più probabile, la conclusione logica di una sequenza di tornate elettorali in cui la Cdl aveva accumulato una sconfitta dopo l’altra. Quando qualcuno gli fa notare che un conto è prendere più voti dell’avversario e un altro governare, Prodi non sembra preoccuparsi: Francesco Rutelli e Walter Veltroni si stanno impegnando sul futuro partito democratico, Fausto Bertinotti, pur citando di continuo l’età postfordista e la precarizzazione della vita, ossia i temi classici dell’ideologia della nuova sinistra, si è dato il profilo dell’uomo di governo e delle istituzioni. Il Professore deve mostrare rapidamente la capacità di formare un governo efficiente, dal profilo europeo: la qualità dei ministri è la prova migliore che il centrosinistra è in grado di schierare uomini capaci di rassicurare i mercati e di tentare il rilancio dell’economia nazionale, facendolo uscire dalla sindrome della crescita zero. Per i dicasteri principali, si prospettano candidature di livello, da Tommaso Padoa-Schioppa a Mario Monti, da Enrico Letta e Pier Luigi Bersani a Massimo D’Alema e Giuliano Amato (se il dottor Sottile deve rinunciare al Colle). Primo provvedimento del nuovo governo Prodi: una "due diligence" sulla condizione dei conti pubblici: le personalità economiche dell’Unione, a cominciare da Vincenzo Visco e Laura Pennacchi, sono convinte che il centrodestra lasci conti spaventosi, molto peggiori di quelli ufficializzati. Mentre si profila una finanziaria di guerra, si tratta di vedere quali sono i contraccolpi nella Cdl. Silvio Berlusconi spera di risultare il capo del primo partito al Senato, in modo da risultare ancora centrale in ogni negoziato, e in grado all’occorrenza di alzare barricate. Gianfranco Fini è il più sconfitto di tutti, perché perde senza avere una strategia di riserva: non può reggere cinque anni di opposizione senza sviluppi. Roberto Maroni ha già annunciato che in caso di sconfitta la Lega se ne va per i fatti suoi. Nell’Udc, Pier Ferdinando Casini, Marco Follini e Bruno Tabacci mandano segnali al centrosinistra, «perché se Prodi radicalizza noi facciamo un’opposizione durissima; ma se Prodi sente la necessità di allargare la maggioranza, noi siamo un partito di governo, non un partito della protesta». Quanto al Quirinale, la prima scelta è Carlo Azeglio Ciampi, dato che Prodi si ritrova perfettamente nella visione ciampiana di un’Italia pacificata. Se il presidente non ci sta, Giuliano Amato è ancora in prima fila. Vittoria di Berlusconi Non è la Cdl a vincere: è un successo tutto del Caimano. È riuscito nell’impresa impossibile, nella rimonta incredibile. Vince perché è senza inibizioni, non conosce tabù. Lacera le convenzioni politiche e civili e poi accusa gli avversari di non avere capito il suo humour. Convince la maggioranza degli italiani che i comunisti sono un incubo, descrive un paese immaginario, esalta riforme fallimentari (anche le "porcate" come la legge elettorale di Calderoli), dipinge una ricchezza inesistente e la descrive come un Eden a rischio di esproprio sovietico. Se nel 2001 aveva illustrato un sogno, ora ha evocato il Terrore. Su tutto ciò, ha piazzato la briscola dell’Ici, un contropiede all’ultimo minuto. I suoi alleati non sono meno sorpresi degli avversari. Fini e Casini, ridotti definitivamente al rango di gregari, accettano un ruolo accessorio nel futuro "Partito del popolo". Mentre il centrosinistra si scioglie come neve al sole, Prodi cerca un incarico internazionale e il partito democratico entra in stallo, Berlusconi prepara un’altra finanziaria illusionista. Nel frattempo manda Gianni Letta al Quirinale, piangendo lacrime di coccodrillo su Ciampi sacrificato alle ragioni di partito. Si sente immortale, invincibile, capace di ipnotizzare per sempre un paese intero. Gli rimane un solo ostacolo, il referendum confermativo sulla riforma costituzionale. Se la Cdl lo perde, come è probabile, il centrodestra è finito. La Lega se ne va, progettando altre marce sul Po. Comincia un’estate davvero da incubi, con un paese spaccato in due come forse non si era mai visto, dopo il Quarantotto. Pareggio Il pareggio equivale a qualsiasi risultato politicamente illeggibile. Esemplificato da una maggioranza diversa fra Camera e Senato. È il trionfo della nuova legge elettorale, il "Porcellum". L’Italia della crescita zero si ritrova nella politica zero. Di rivotare non se ne parla. Ed è anche la gioia di tutti gli inciucisti, i sostenitori della teoria di Mario Monti che le riforme necessarie per il paese sono troppo pesanti per essere realizzate da una sola parte politica, e ci vuole dunque uno sforzo corale e bipartisan. Solo che ci sono due modi per farlo: un governo di salute pubblica sostenuto dai poteri forti, una specie di consiglio d’amministrazione della borghesia, con la benedizione di Luca Cordero di Montezemolo e di Diego Della Valle; oppure una chiamata a raccolta di tutta l’Italia postdemocristiana. Si tratta di uno scenario meraviglioso per i politici più manovrieri, per la razza doc Prima Repubblica. Da Clemente Mastella a Ciriaco De Mita, da Casini e Buttiglione ai socialisti razza pentapartito. Prodi è fuori tempo e fuori gioco, Berlusconi anche, a meno che non si ricicli, perfetto Zelig, come padre nobile dell’Inciucio. Fini deve darsi da fare come un disperato per non essere emarginato. Fassino e D’Alema pure. Umberto Bossi gode, pensando alle potenzialità disgregatrici che si spalancano per la Lega. Cominciano i preparativi per realizzare la Terza Repubblica (o siamo già alla Quarta?). Dopo avere annunciato il suo possibile voto a Pippo Franco, Giulio Andreotti contempla soddisfatto un’Italia che diviene di nuovo eterna, premoderna, corporativa. Quindici anni di transizione politica vengono buttati nella spazzatura della storia. Quasi quasi, fa meno impressione la vittoria del Caimano (si sottolinea quasi).
13/04/2006