Converrà guardarle tutte, le puntate di "I migliori anni della nostra vita", il programma di RaiSat Extra che dalla fine di febbraio va in onda per dieci settimane il martedì e in replica il sabato (l’intero ciclo è stato curato da Luigi Mattucci, mentre gli incontri con i protagonisti sono realizzati da Lorenza Foschini e Anna Vinci). Già la puntata dedicata al fotoreporter Mario Dondero è stata di bellezza inedita: fotografo, cittadino delle metropoli, "comunista" e soprattutto testimone nei luoghi in cui lo ha portato la sua curiosità e la sua indignazione, Dondero parla una lingua bellissima e straordinariamente precisa, senza un’esitazione o un inciampo. Le sue parole sottolineavano il passaggio d’epoca del boom a Milano, la "vita agra" ma eccitante al Bar Giamaica, ritrovo di intellettuali e artisti; e per contrappunto la scoperta della Parigi mondana ed esistenzialista, suggestiva e severa, una città racchiusa in poche vie accanto alla Senna, in cui ogni giorno poteva accadere di incontrare le divinità, da Hemingway a Juliette Gréco. Con la gioia di esserci e poter fissare i contorni di un mondo in pieno cambiamento, fedele a un bianco e nero che è scelta morale ancor prima che estetica, «perché il colore è ornamento». Nel racconto di Dondero si apprezzava la qualità di una povertà «senza complessi», che consentiva di godere delle cose buone e magari ottime, nella consapevolezza che «quando arrivano i ricchi le cose si svuotano, perché stanno in due dove prima stavano in 20»: ma con la capacità e il gusto di apprezzare la meraviglia quotidiana della Parigi «capitale della rivoluzione, e dell’ideale repubblicano». Essere senza complessi significa anche apprezzare la Roma della "Dolce vita": in modo non dissimile da quello descritto nella bellissima testimonianza di Raffaele La Capria, a sua volta un capolavoro di nonchalance partenopea, capace di fondersi con la Capitale di Fellini e di Visconti, quando Roma era un incrocio del mondo (e mentre il "jet set" fluiva a via Veneto, nei locali la sera si incontravano Moravia, Pasolini, Arbasino, e tutti gli altri). Non è nostalgia. A vederlo oggi, il materiale documentario che accompagna i colloqui con i protagonisti (da non perdere quelli con Adriana Asti, Giorgio Ruffolo, Rosy Bindi), offre l’immagine di un paese lanciatissimo. Internazionale, aperto verso il mondo. Certamente meno provinciale di oggi.
23/03/2006