Dove sono i laici, i libertari, gli anticlericali, i radicalconservatori del centrodestra? Dormono tutti sulla collina, e dormono sonni beati, mentre nelle ultime settimane di legislatura la Casa delle libertà dà spettacolo trasformandosi nella Casa della reazione. Leggi regressive. Strappi alle convenzioni. Arroganza anti-istituzionale. Certo, non stupisce assistere allo show del cavalier Berlusconi che si rivolge al cassintegrato dicendogli «fortunato lei che ha il sussidio». Ma di fronte alle leggi ambigue e demagogiche come la riforma della legittima difesa, o al bastone implicito nella legge propagandata da Gianfranco Fini sulla droga, ogni volta si resta sbalorditi. Si sa che Berlusconi ha due anime: la prima famigliare, «mite e sorridente» secondo "il Foglio", pronta però a rivelarsi ghignante, aggressiva. Grazie alle sue milizie è quasi riuscito a trasformare Carlo Azeglio Ciampi in un eversore, solo perché ha reagito con puntualità alla sua invasione televisiva. E anche il centrodestra ha le medesime due anime. Quando si fondono, ecco l’addizione "Lega più Vandea": che non è un’invenzione ideologica da ultimi giorni del regime, quanto piuttosto un ritorno alle origini. Perché è vero che il Cavaliere è il capo di Forza Italia, cioè di un movimento nazionale: ma se fosse stato per lui, forse gli sarebbe piaciuto di più essere il padrone della Lega. Mentalità intrinsecamente lumbàrd, plasmata dall’insofferenza per lacci e lacciuoli, per la fiscalità, per le regole. Padrone a casa sua, secondo un suo slogan sulle ristrutturazioni edilizie, libero anche di costruirsi la tomba di famiglia nel giardino. Su questo sfondo psicologico ruspante il premier ha poi modellato la sua maschera più confessionale, chiamando a raccolta lo spirito di don Sturzo, le zie suore, e in ultimo il figlioletto Luigi che sempre prega. È anche questa componente machista che risulta simpatetica al sentimento più intimo della Lega. E che su un piano maledettamente più serio, con la legge sulla legittima difesa, interpreta gli umori più profondi e vischiosi della società: con i leghisti subito scattanti a difendere chi spara 13 colpi di pistola ammazzando un ladro albanese, e prima ancora a compiacersi per l’equiparazione fra la "roba" e la vita umana instaurata giuridicamente dalla riforma. Un vulnus drammatico al regime di civiltà giuridica a cui eravamo abituati, anche se suscita il consenso della borghesia spaventata, l’adesione irriflessa a una logica western. È un argomento su cui non si sono sentite molte voci critiche fra i cattolici della Cdl, sicché si rimpiange la prudenza democristiana d’antan, un po’ gommosa e spugnosa, ma in grado di filtrare il fondo torbido e gli istinti della società italiana. Quanto alla nuova legislazione sulla droga, non risponde a nessuna logica che non sia l’obiettivo pubblicitario del "giamaicano" Fini e di An. Equiparare l’eroina agli spinelli è un’esemplificazione del braccio violento della legge, oltre che una di quelle trovate da uomo d’ordine in cui Fini primeggia, come primeggiava da divo della destra intollerante al "Maurizio Costanzo Show" nelle sue posizioni contro i maestri gay. Fra i ministri di An, Francesco Storace ha scelto la via muscolare, e si adopera in ogni modo per fare terrorismo spicciolo contro la legge sull’aborto, lasciando aleggiare sulla porca Italia della scristianizzazione edonista l’ombra di un esercito di centinaia di migliaia di non nati che chiedono riscatto per il passato e protezione per il futuro. E si mette di traverso sulla pillola abortiva, modificando le norme sull’importazione dei farmaci, tanto per fare sentire la pressione delle istituzioni, e fare vedere alla gerarchia cattolica che la linea è ortodossa. Altro che atei devoti. Qui c’è un clericalismo strumentale e fazioso, quello che fa chiedere rumorosamente le inchieste sul funzionamento della legge 194, e svicola silenziosamente quando viene fuori che la legge funziona e i consultori non sono un abortificio. Sul piano del divertissement confessionale, invece, l’anima brianzola di Berlusconi è riuscita a produrre una riuscita incarnazione nazionale del bigotto che si affida a Dio per non dare a Cesare. E non è solo folklore. La stessa legge sull’impugnabilità delle sentenze, respinta dal Quirinale, è solo l’ultimo capitolo della serie disarmante di leggi sulla giustizia, trangugiate ogni volta dagli alleati di Berlusconi, talvolta con qualche mal di pancia, qualche altra con il cinismo più schietto, ma alla fine mandate giù e assimilate senza troppi contorcimenti: perché evidentemente quel che non ammazza ingrassa.
09/02/2006