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zingaro gad

11/10/2007

Il ritorno di Gad Lerner con "L’Infedele" (26 settembre, La7) ha messo subito il dito nell’occhio degli spettatori: "Zingari: un popolo di troppo". Quella di Lerner è una tv laterale, che affronta spesso argomenti coriacei. È laterale rispetto alla tv normale, naturalmente (non appena in trasmissione il sindaco di Livorno ha parlato di "salotto" televisivo, Gad si è incacchiato di brutto). Il fatto è che in tutto questo parlare di antipolitica si dimentica spesso la società italiana: e basta avere visto un filmato dell’"Infedele" sui rom per notare quale carica di violenza contenga la psicologia nazionale (e non parliamo, per carità di patria, degli interventi nei blog, dove la società civile dà il meglio). Il tempo lento di Lerner è l’antitelevisione, che forse oggi è uno degli antidoti possibili all’antipolitica. Perché la discussione, fondata su argomenti e non su attacchi personali, porta dentro lo studio televisivo quella drammaticità che latita nei talk show. Nei "salotti" del piccolo schermo non c’è dramma: a volte c’è chiacchiericcio, a volte farsa, a volte vergogna. Siamo tutti troppo consapevoli che lo spettacolo vuole la sua parte, e che quindi, proprio per la sua formula in controtendenza, "L’Infedele" sarà sempre destinato a quote di audience ristrette; e siamo tutti così mitridatizzati dal veleno quotidiano inoculato dai media che spesso il dibattito lerneriano appare fuori moda. Ma essere fuori moda non significa essere fuori tempo: la drammaticità della tv lenta può andare al cuore dei problemi. Non porta a soluzioni facili, ma misura lo spessore dei conflitti.

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