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beppe grillo L’algerino

04/10/2007

La premessa è che il professor Giovanni Sartori è il maggiore scienziato politico italiano, possiede un prestigio indiscusso, ha un alone di autorità internazionale. Liberaldemocratico a pieni titoli, ha insegnato a tutti che cos’è la democrazia. Se non abbiamo capito male a suo tempo, secondo la lezione di Sartori, la democrazia è un sistema di governo articolato in istituzioni, fatto di procedure, determinato da processi formalizzati. (È anche tante altre cose, ma questa sintesi estrema dovrebbe essere sostanzialmente corretta). Bene, la settimana scorsa, sulla prima pagina del "Corriere della Sera", Sartori ha pubblicato un editoriale che potremmo considerare una specie di evento culturale. Parlava di Beppe Grillo, che «ci sa fare», della "casta" descritta da Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, della terra che trema sotto la classe politica. Usava parole come «putrefazione»; ventilava un possibile «tsunami»; e concludeva: «Confesso che una ventata – solo una ventata – che spazzi via i miasmi di questa imputridita palude che è ormai la Seconda Repubblica, darebbe sollievo anche a me. E certo questa ventata non verrà fermata dalla ormai logora retorica del gridare al qualunquismo, al fascismo, e simili». Il professor Sartori ha ripetuto concetti simili anche nel programma di Santoro "Annozero". Per questo non sembra un’esagerazione parlare di evento culturale, a proposito del Sartori ingrillito. Perché se il venerato maestro di tutti noi getta la spugna, e dichiara che il sistema politico italiano è da buttare, e il ceto politico da liquidare, non so come la pensi l’opinione pubblica media, ma c’è da prenderlo sul serio. Sono quasi vent’anni che si cerca di razionalizzare il sistema politico della Repubblica. Siamo passati attraverso ondate (o ventate) di populismo, in coincidenza con Tangentopoli e in seguito alle sferzate antipolitiche di Silvio Berlusconi e della Lega; sono stati cercati rimedi istituzionali con i referendum elettorali dei primi anni Novanta, con l’imperfetta legge elettorale semimaggioritaria, battezzata "Mattarellum" proprio da Sartori, con tentativi farraginosi di riforma costituzionale. Può essere che i rimedi siano stati insufficienti. D’altra parte, contro l’incerto e ondivago sforzo di raddrizzare le gambe storte del sistema, e contro la transizione infinita, si è abbattuto anche il disastro della legge elettorale approvata unilateralmente nel 2005 dalla Casa delle libertà, il "Porcellum" (altra definizione di Sartori). Ma a questo punto, è inutile stare a sottilizzare: Sartori è andato giù con la scure: putrefazione, Seconda Repubblica palude imputridita. Non rimane che rivolgere al maestro, con una certa angoscia, la domanda classica: "che fare?". Perché è stato lui a insegnarci che la politica si può migliorare solo attraverso le istituzioni: e noi ci eravamo convinti, adottando la via faticosa dei miglioramenti graduali, delle riforme possibili, dei compromessi praticabili. I sistemi politici si possono modificare attraverso trasformazioni istituzionali; con l’emergere di leadership e proposte culturali nuove; con la trasformazione dei partiti. In Italia, abbiamo provato tutte queste strade, e il risultato è ormai chiaro: non una transizione incompleta ma una transizione spezzata. Probabilmente Sartori potrebbe aggiungere che le democrazie cambiano anche in conseguenza di vicende traumatiche: una sconfitta in guerra, un cambio di regime istituzionale come la fine di una monarchia. Tuttavia le rivoluzioni devono creare altre istituzioni, pena il fallimento. Lo ha insegnato Tocqueville, lo ha spiegato Hannah Arendt. Forse Sartori ha in mente che i sistemi democratici più o meno putrefatti possono essere travolti da eventi esterni, o eccentrici rispetto alla politica tradizionale. Il caso citato più di frequente è quello dell’Algeria, che procurò alla Francia il passaggio dalla ingestibile Quarta repubblica all’efficienza politica della Quinta. Solo che il nostro algerino si chiama Grillo, e la nostra Algeria è un’Algeria interna, fatta di un "popolo" astioso, anzi rabbioso, convinto che si possa andare verso modalità di democrazia diretta, felice di spedire il proprio insulto, "vaffa", verso tutti. In sostanza, già le proporzioni sono squilibrate, se è vero che la Francia ha avuto il generale De Gaulle e noi abbiamo Beppe Grillo. Sicché non resta che prendere atto dello scarto di Sartori; ma poi viene naturale chiedergli davvero come agire, secondo quali prospettive, in che direzione. Si può anche augurarsi che la Repubblica imputridita venga spazzata via: ma dopo, e anche intanto, caro maestro, "che fare"?

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