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tsunami a palazzo

27/09/2007

Si attaccano al dogma dell’insostituibilità di "Romano". La pattuglia prodiana asserragliata a Palazzo Chigi si comporta come chi è nell’occhio del ciclone: tutto intorno è bufera, uragano, fortunale; loro stanno attaccati alle maniglie di soccorso, ancora convinti che il tempo è dalla loro parte. Aspettare la prossima Finanziaria. «Time is on my side», canticchia Giulio Santagata sulle note di Mick Jagger. «Io governerò per tutta la legislatura», ripete Prodi ad ogni pie’ sospinto. Traduzione per il popolo: questo governo sta in equilibrio sulla fune, ma nessuno può permettersi di farlo cadere. Il grande complotto intestato ai poteri forti e a Walter Veltroni? Una bufala: «Nessuno può assumersi l’azzardo di prendere il posto del premier con una manovra trasformista». Allora un governo istituzionale, di garanzia, di salute pubblica, insomma la solita ipotesi Marini? Storie, sempre le stesse storie. Eppure se è bastato il "Vaffa Day" di Beppe Grillo a sconvolgere la politica italiana vuol dire che la crisi di consenso è irrecuperabile, proprio come ha scritto Eugenio Scalfari pur prendendo nota della tenacia a prova di bomba di Prodi. «Ma si tratta di vedere se Grillo fa male solo a sinistra o anche a destra», insistono a Palazzo Chigi. Già, anche un commentatore austero come Stefano Folli, sul "Sole 24 Ore", ha fatto presente che la vertiginosa folata protestataria di Grillo ha fatto invecchiare dalla sera alla mattina anche la Casa delle libertà. Umberto Bossi ha fatto la figura del vecchio reazionario, sentendosi evidentemente espropriato del ruolo di arruffapopoli. I circoli della rossa Michela Vittoria Brambilla sono apparsi all’improvviso come delle conventicole di gente entusiasta ma senza un grande futuro. Gianfranco Fini, come al solito nei momenti cruciali, è impegnato altrove, a sfottere Veltroni davanti ai goliardi post-missini, a condurre i suoi giochi politicanti senza capo né coda. E il grande leader supremo, Silvio Berlusconi, è diventato totalmente taciturno, probabilmente infastidito, lui il grande antipolitico, dal fatto che qualcuno addirittura più antipolitico di lui gli abbia rubato la scena. Anche perché Grillo potrebbe essere una meteora, ma è comunque un corpo astrale che si trascina dietro in prevalenza un elettorato di sinistra, come ha mostrato Ilvo Diamanti. Mentre circolano sondaggi che danno in flessione grave la sinistra oltranzista classica (Rifondazione comunista poco sopra il 3 per cento, i Comunisti italiani all’1), un altro politologo attentissimo al mutare dei rapporti fra società civile e politica, Roberto Cartocci, sostiene che «l’apparire della "cometa Grillo" illumina tutte quelle aree sociali in cui si manifestano domande a cui i partiti non sanno o non possono offrire risposte». Il che equivale a dire: il sistema politico si è inceppato; il centrosinistra non è riuscito a dare la sensazione di intervenire sui temi che l’opinione pubblica considera rilevanti; c’è una distanza culturale che oggi appare incolmabile e che difficilmente potrà essere colmata con l’esperimento in vitro del Partito democratico. In queste condizioni riesce complicato articolare una proposta politica credibile, capace di ricostruire consenso. Per certi aspetti sembra valere lo schema ironicamente descritto a suo tempo dal maestro degli scienziati politici italiani, Giovanni Sartori: «Ormai in Europa si vota sempre contro il governo. Se si vota contro se non fa le riforme, perché in questo modo blocca la crescita. E si vota contro se le riforme le fa, perché allora vengono attaccate rendite e posizioni di privilegio». Ma se questo è vero sembra possibile soltanto un’abdicazione della politica. Certo, non si può dimenticare che il processo di razionalizzazione del sistema politico è stato silurato nel 2005 dall’introduzione del "Porcellum", la riforma proporzionale varata in via unilaterale dal centrodestra per limitare la vittoria dell’Unione e per tentare di impedire l’attività di governo. Un attentato al paese, lo aveva definito allora Arturo Parisi. Il risultato è visibile agli occhi di tutti: ormai non si può più parlare di una transizione incompleta; siamo di fronte a una transizione interrotta. E quindi risultano sempre meno credibili gli appelli a trovare una soluzione condivisa, nella prospettiva di restituire efficacia al meccanismo elettorale. Resta sullo sfondo la prospettiva del referendum Guzzetta-Segni, ma c’è anche da fare i conti con la stanchezza indicibile di dover puntare di nuovo sul rifacimento dei meccanismi: ossia sulle procedure, sui tecnicismi, quando la sensazione che si è diffusa è quella di un sistema incorreggibile. Per questo passa nell’opinione pubblica l’urlo di Grillo: «Io i partiti li voglio distruggere». Che sarà una protesta irrazionale, ma risulta in completa sintonia con l’insofferenza per la «Casta». E mette in luce il girovagare a vuoto dei protagonisti politici. Di fronte alla denuncia "populista", infatti, ogni progetto di razionalizzazione, ogni risparmio di spesa, ogni taglio dei costi viene percepito come insignificante. Ha un bel da dire, Prodi a "Porta a Porta", di avere ridotto del 30 per cento lo stipendio della compagine dei ministri. È come annunciare di avere cominciato a vuotare l’oceano con il cucchiaio, un nonnulla di fronte allo spreco e agli scandali, agli aerei di Stato, alle pensioni parlamentari, alle spese demenziali delle comunità montane finte. E il piano Santagata di moralizzazione dei costi della politica? Al massimo sarà considerata un’operazione di maquillage. Di fronte al sentimento di indignazione di massa, nessuna misura può risultare efficace. È logico quindi che allora si sviluppino strategie alternative, serpeggianti, non sempre dichiarate ma in fondo rintracciabili. Con il tentativo di risolvere finalmente la partita fuori dagli schieramenti bipolari, al centro. Che cosa significa la piccola secessione di Lamberto Dini, uno dei 45 saggi del Pd, che ha annunciato di non confluire nei "Democrat" e di lanciare il manifesto dei "Liberaldemocratici"? E che cosa vuol dire la defezione di Domenico Fisichella, anche lui fuori dal Partito democratico? Nell’immediato è semplicemente l’annuncio di nuovi ostacoli per Prodi, che al Senato dovrà mettere a bilancio nuove tensioni tra riformisti e sinistra estrema (e quindi si troverà di fronte a un altro e più evidente problema di disfunzionamento della maggioranza, con le ripercussioni che si possono prevedere in termini di credibilità e di consenso del governo). Ma in una prospettiva più ampia, non va sottovalutato il giro di contatti più o meno segreti che coinvolge gli ambienti ex democristiani, un lavorio oscuro che tenta di preparare una risposta iperpolitica alla crisi della politica. La premessa è sempre la stessa: muove dalla considerazione del fallimento del modello bipolare. Il mantra neocentrista, avanzato da Clemente Mastella durante l’estate e fatto circolare dagli ambienti democristiani, suggerisce che c’è la possibilità concreta di creare uno spazio politico che va dall’Udc all’Udeur, con un potenziale di attrazione su settori della Margherita e anche di Forza Italia. Il ragionamento dei centristi è semplice: se si va al voto nelle condizioni attuali, niente e nessuno può impedire la riscossa di Berlusconi. Può darsi che, dopo la vittoria alle primarie del Pd, Veltroni sia in grado, con una campagna elettorale moderna, mediatica, spettacolare, di limitare i danni: ma per essere competitivo dovrà tenere insieme tutto il centrosinistra, con il rischio di incorrere inevitabilmente nelle traversie che hanno messo in crisi Prodi. E allora, è il ragionamento, conviene muoversi per modificare strutturalmente il disegno degli schieramenti. Puntare a una formazione di centro in grado di superare qualsiasi soglia di sbarramento e di proporsi («alla tedesca», come dice confidenzialmente il vecchio navigatore Paolo Cirino Pomicino) come perno per una rinnovata politica dei due forni: ovvero in modo da risultare determinante per qualsiasi ipotesi di governabilità. Mica male, come progetto di massima: rispondere all’antipolitica con una strategia di politicismo puro. Ma se il centrodestra si limita a incamerare il consenso che sfugge all’Unione, e il centrosinistra non riesce a invertire il giudizio dell’opinione pubblica, non ci sarà da stupirsi se dalle rumorose boutade di Grillo verranno ottime occasioni per le silenziose formichine dell’eterno centro. n

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