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Minoli è l’uomo del mistero

21/06/2007

Come si può definire il lavoro condotto da Giovanni Minoli con "La storia siamo noi"? Era la domanda che ci si poteva porre vedendo "Il mistero di Modì" di Emilia Brandi (andato in onda il 7 giugno su Raidue in seconda serata). Allora: non è semplicemente una ricostruzione storica; e non è neppure un’inchiesta giornalistica pura. Forse si potrebbe definire questa tecnica televisiva un saggio di storia "simultanea"(secondo una definizione dello scrittore Valerio Evangelisti). Come si ricorderà, l’affare Modigliani scoppia nel luglio 1984, quando a Livorno vengono ripescate nel Fosso Reale tre sculture che sembrano riprodurre il classico stile di Modì. Molti critici si esprimono a favore dell’autenticità, fra polemiche che divampano altissime. La conclusione fu la rivelazione che si trattava di un colossale scherzo, giocato da tre studenti ventenni, che avevano realizzato le famigerate teste in pietra con il Black&Decker (ripetendo poi l’exploit "artistico" in televisione, mentre l’azienda dei trapani sfruttava pubblicitariamente la vicenda con pagine di annunci che dicevano in sostanza: con i nostri attrezzi si può fare di tutto). Ma dubbi e misteri aggiuntivi sono sempre circolati, nuove informazioni sono trapelate. L’autrice Emilia Brandi è andata sulle tracce di un’altra storia, che risale al 1991, allorché a Livorno vengono ritrovate tre altre teste in pietra, che sembrano anch’esse ricalcare lo stile di Modì. Autentiche? Di sicuro c’è solo che è come se non esistessero. Il programma di Minoli le ha ritrovate e filmate per la prima volta alla Soprintendenza di Pisa, dove sono sotto sequestro da 12 anni. Che la storia dei falsi o veri Modì sia bellissima è fuori dubbio. Perché è una vicenda infinita, che non si conclude mai, che non conduce alla soluzione. Resta sempre il dubbio che possa aprirsi un altro capitolo, con altre rivelazioni e ulteriori scoperte. "Il mistero di Modì" era efficace perché seguiva il percorso di un’indagine giornalistica attraverso la consapevolezza di un lavoro storiografico. Senza mai rinunciare al rigore necessario, ma con il gusto di pedinare le tracce più promettenti, anche se non si sa dove possono portare. Storia "simultanea", per l’appunto, storia aperta, storia di sentieri che si biforcano. In questo caso, con l’aggiunta di un po’ di ironia al mistero, che dava leggerezza al giallo, con risultati alla fine avvincenti.

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