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Non sparate sul Pirata

22/02/2007

Secondo Aldo Grasso, il film di Claudio Bonivento dedicato a Marco Pantani ("Il Pirata", da un’idea di Nicola Carraro e Claudio Bonivento, scritto da Nicola Lusardi e Roberto Jannone con lo stesso regista Bonivento, produzione Ballandi per Raiuno) è risultato semplicemente «trasandato», e «l’operazione stilistica è stata una sola: la verosimiglianza». Vale a dire la trovata di un attore, Rolando Ravello, particolarmente simile al modello piratesco originale. Per "il Riformista", nel commento di Remo De Vincenzo, «questo Pirata versione B&B (Ballandi e Bonivento) è un ulteriore esempio della cronica incapacità di narrare le gesta sportive da parte della nostra fiction». Subito dopo il massacro continua con Bonivento indicato come «già regista della grigia fiction Rai sul Grande Torino», colpevole di «avere imbastito un prodotto povero di idee e di pathos, recitato male e scritto peggio». Mah. A dargli un’occhiata con un tocco in più di indulgenza, "Il Pirata" non era peggio della fiction che circola normalmente. Quindi Bonivento non dev’essere proprio peggio degli altri registi. La fiction su Pantani aveva tutti i difetti delle storie troppo contemporanee, in cui non c’è filtro della memoria, alone del mito e suggestione del racconto. Assomigliava più alla cronaca che non a una narrazione. Per girare un film sullo sport può essere utile una certa distanza di tempo dagli avvenimenti. Per esempio è bellissima la vicenda di Matthias Sindelar, "il campione che non si piegò a Hitler" raccontata da Nello Governato (noto ex calciatore e manager calcistico) nel romanzo "La partita dell’addio" (Mondadori). Per chi non lo sapesse, il divino Sindelar era uno dei più forti calciatori del mondo, e morì con la sua donna, l’ebrea Camilla Castagnola, nel 1939, dopo l’Anschluss: furono trovati morti dalla Gestapo nel loro appartamento di Vienna, e il decesso fu attribuito ufficialmente al malfunzionamento di una stufa a gas. Oppure si potrebbe leggere utilmente la strepitosa storia scritta da Matteo Marani ("Dallo scudetto ad Auschwitz. Vita e morte di Arpad Weisz, allenatore ebreo", pubblicata da Aliberti), che ricostruisce la parabola tragica di un trainer del Bologna che finisce nel nulla dello sterminio nazista. Insomma, le fiction "simultanee" possono essere traditrici (ma anche la storia di Pantani era di clamorosa intensità, e quindi irresistibile la tentazione di raccontarla).

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