Se si vuole capire che cos’è un’occasione perduta va vista la fiction "Raccontami" che intende raccontare la nascita di una modernizzazione (in onda su Raduno la domenica e il lunedì, prima serata, per 13 puntate; story editor Stefano Rulli, sceneggiatura di Gloria Malatesta e Claudia Sbarigia, regia di Riccardo Donna e Tiziana Aristarco; la serie è l’adattamento di un format spagnolo, perché adesso esistono i format anche per la fiction). Anno 1960, Olimpiadi di Roma, famiglia romana di un ceto popolare. Voce fuori campo (che in una fiction andrebbe proibita per legge), una citazione d’epoca dietro l’altra, Vespe, Lambrette, elettrodomestici. Tutto questo per provocare l’effetto nostalgia, che in effetti si verifica, dato che la fiction raggiunge il 25 per cento di share. Piace riassaporare gli anni di Abebe Bikila, il maratoneta scalzo, rivedere i 200 metri dorati di Livio Berruti, provare la piccola emozione di quando si può verificare l’esattezza di una ricostruzione in cui siamo passati tutti. E da questo punto di vista il gioco funziona, a parte alcune sviste sociologiche; le trame sono abbastanza ben intrecciate, con gli opportuni colpi bassi come quando il bambino incontra l’uomo senza scarpe, Bikila, e poi lo vede vincere in tv (ma i poveri, bisognerebbe saperlo, non avevano ancora la tv). Il modello centrale, quello nobile, è "Heimat"; il corrispondente politico-ideologico è "La meglio gioventù". La recitazione ha qualcosa da invidiare al "Medico in famiglia". Dov’è dunque l’occasione perduta? Ma nel solito flop dell’interpretazione, tipico di larghissima parte della fiction italiana. Massimo Ghini, il capofamiglia, incombe in ogni scena facendo le battute e il commento, il davanti e il didietro, la botta e la risposta. Ci sono figurine talmente stereotipate da apparire insopportabili, o irrealistiche. Sicché si è costretti ad apprezzare Lunetta Savino, che è una caratterista ma sa il suo mestiere. Non si può pretendere che un format racconti la storia di una nazione. Ma un minimo di precisione e anche di crudezza in più, di convenzionalità in meno, avrebbe dato al film l’aspetto della realtà: così invece sembra un sogno della realtà. Fino ad apparire poco credibile, troppo programmatico, borghese quando dovrebbe essere operaio. Si fa guardare, per carità: ma alla fine lascia il senso di un travisamento, non di una ricostruzione e di una memoria.
04/01/2007