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il paese disgregato

16/10/2008

Non abbiamo un’altra parola, al di là di "razzismo", per definire gli episodi di intolleranza e di violenza contro gli stranieri che si manifestano ormai ripetutamente in Italia. Ma anche se talvolta gli eventi appaiono degradanti, non è detto che si tratti della parola giusta. Ilvo Diamanti ha mostrato che in effetti si agita nella nostra società un atteggiamento nuovo rispetto agli immigrati. Un insieme di insicurezza e di inquietudine che talvolta può sfociare in atti di insofferenza e di ripulsa, e perfino di aggressività violenta. Ma se si guarda a un episodio come la strage dei ghanesi a Castel Volturno, ci si accorge che l’espressione "razzismo" non esaurisce affatto il potenziale drammatico di quell’avvenimento. L’uccisione camorristica di sei africani sembra avere un contenuto terroristico: occorreva far capire con un gesto micidiale chi comanda sul territorio. In una realtà estrema come quella di Gomorra, ciò che una volta si sarebbe concretato in un raid punitivo è diventato un eccidio spaventoso. Da destra si continua a dire che non c’è razzismo nel nostro paese, che ci troviamo davanti episodi isolati, e il ministro Roberto Maroni fa il possibile per trattare gli avvenimenti più gravi con metodi di polizia. Ma da sinistra viene facile rispondere che l’ostilità verso gli stranieri è stata favorita dal clima generato dai provvedimenti del governo, dalle "gride" contro il reato di immigrazione clandestina, dall’aver favorito l’allarme dei cittadini angosciati dalla criminalità venuta da fuori. Ora, che la destra abbia puntato molte carte politiche sulla sicurezza e sulla paura è indubbio. Ma difficilmente le soluzioni del Pdl e della Lega condurranno a risultati significativi. Perché noi, noi cittadini italiani, in questo momento e in futuro non dovremo fare i conti soltanto con il fenomeno dell’immigrazione, regolare e clandestina. La realtà più preoccupante è che stiamo assistendo a una sostanziale disgregazione della collettività nazionale. Ci sono territori non controllati dallo Stato, enclave urbane gestite dalla criminalità, entro un perimetro, quello del Mezzogiorno, in cui tutti gli indici, economici ma anche sociali, sono in terreno negativo. Esistono periferie come quelle romane in cui la promiscuità antropologica prolifera in un ambiente dominato dal commercio della cocaina e del sesso (a questo proposito resta un documento letterario e sociologico impressionante il recente e iperrealistico romanzo di Walter Siti "Il contagio"). Come ha scritto Zygmunt Bauman, si ricorre all’identità quando la comunità crolla. Al Nord il successo della Lega, oltre che sull’allarme anti-immigrazione, si fonda sul tentativo di ricreare una serie di "comunità reattive", i cosiddetti "popoli" del Nord, che si qualificano per un grado di autoprotezione che verso l’esterno diventa atteggiamento ostile. Una volta, nella propaganda informale dei leghisti, si chiamava secessione. Adesso, si qualifica per l’insofferenza verso tutte le altre comunità, comprese quelle nazionali, con l’esito tendenziale di accentuare i processi disgregativi. Anche il federalismo fiscale e istituzionale servirà per accentuare le separatezze (altrimenti, in versione blanda e "cooperativa", non serve politicamente a nulla). Dunque la destra non ha soluzioni, se non le solite: l’esercito nelle strade, costruzione di carceri, autosegregazione di parti della popolazione rispetto ai barbari, con telecamere e vigilantes di guardia. Toccherebbe alla sinistra, a questo punto, non limitarsi a gridare contro il fantasma del razzismo, ma proporre un progetto per il paese. Perché non si risolve il problema xenofobo isolandolo dal contesto generale. Non si riesce credibili semplicemente lanciando allarmi e accusando la destra, e neppure rivendicando i diritti e il nuovo illuminismo. La convivenza con gli stranieri, con i neri, i cinesi, i maghrebini, i romeni, i polacchi, i moldavi, i bielorussi, implica la ricostruzione di un’Italia capace di sfuggire al "bellum omnium contra omnes" delle bande contrapposte, delle mille secessioni che si agitano sotto la superficie del paese ricco e si manifestano esplosivamente sopra la superficie del paese povero. Significa fare i conti con la realtà: la realtà vera, non quella presunta. Il Pd deve fare una cura di realismo, osservare la stridente fenomenologia italiana e offrire una risposta che non sia l’appello retorico. In sostanza che non sia, di fronte a un problema serio, grave e più vasto di come appare, una risposta immaginaria.

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