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Il ministro Lorello

04/09/2008

E poi dicono che sono finite le ideologie. È come nella sintesi di Karl Barth: «Quando il cielo si spopola di Dio, la terra si popola di idoli». Finito il socialismo, almeno nella provincia italiana, sono rimasti i socialisti. Anzi, come dice uno dei divi del Pdl, il ministro Renato Brunetta: «Io sono un socialista in Forza Italia». La trovata è talentuosa, e a suo modo plausibile, dal momento che fra i berluscones c’è di tutto, dagli ex socialisti agli ex liberisti, dagli ex dc agli ex fascisti. A quanto pare, Brunetta è il ministro più popolare, grazie alla sua campagna contro i fannulloni del pubblico impiego. Ne è consapevole. Ammesso che nel frattempo non abbia smentito, Brunetta ha dichiarato al settimanale famigliare "Gente": «Io, povero, non bello e non ricco, ho fatto il culo al mondo e sono la Lorella Cuccarini del governo Berlusconi, il più amato dagli italiani». Ma qui cominciano i problemi. Perché il ministro "Lorello Cuccarini" Brunetta ha creato un format infallibile, irresistibile, di eccezionale successo. Secondo il quale l’Italia si divide in due parti precise: da un lato «60 milioni di cittadini che vogliono vedere premiato il merito e puniti i furbi»; dall’altro «un milione di lavativi», «la stima che abbiamo di tutta un’area politico- culturale-amministrativa: al massimo 500 mila statali, e poi politici, sindacati». Da questa prima osservazione (tratta da una rivelatrice intervista a Conchita Sannino de "la Repubblica", apparsa il 21 agosto) sembrerebbe di capire che esistono fannulloni per appartenenza "d’area", culturale e politica. Bah. Ma il cuore della strategia di Brunetta è l’invenzione di una stragrande maggioranza di italiani buoni costretta a fronteggiare un fortilizio di farabutti neghittosi, asserragliati nel privilegio del non lavoro. A parte il simbolismo della cifra tonda, 60 milioni contro 1, è ideologica, e manipolatrice, l’idea che l’inefficienza della pubblica amministrazione, la scarsa produttività degli apparati burocratici, e di conseguenza l’insoddisfazione di cittadini e imprese, dipenda dalla strenua fannullaggine di una minoranza proterva. Il format di Brunetta è infallibile, e suscita un grande successo popolare, perché chiama al tifo i 60 milioni di gentiluomini che scelgono di stare ovviamente dalla parte del bene e della modernità, contro il milione di fautori del male e dell’arcaismo. E allora, come definire l’azione del ministro? Su una base manichea, si innesta un’iniziativa populista; si agitano fantasmi, nemici immmaginari, indicando un generico capro espiatorio. Ma questa è demagogia in quintessenza. A suo tempo il populismo socialista provocò l’irritazione di Nino Andreatta, che nella famosa «lite fra comari» con Rino Formica accusò il Psi di «nazional socialismo» (il compianto economista bolognese traduceva mentalmente dall’inglese, anteponendo in modo meccanico l’aggettivo al sostantivo e combinando così qualche pasticcio lessicale e politico: ma chi voleva intendere intendeva). L’azione di Brunetta è intimidatoria. Colpire i sintomi di una malattia, cioè l’inefficienza, ossia bastonare le conseguenze senza toccare le cause, è un peccato intellettuale. Riformare la pubblica amministrazione è un compito essenziale, ma per uscire dal cerchio dei rimedi medievali (la gogna per i peccatori, i vagabondi, i nullafacenti), occorre una diagnosi adeguata, che valuti le differenti realtà territoriali e gli standard di rendimento, magari con qualche confronto europeo, nonché alla fine i danni provocati dalle intromissioni della politica (perché quanto a clientelismo, lottizzazioni e assunzioni di favore nemmeno i socialisti amici di Brunetta scherzavano). E poi occorre una terapia davvero moderna e riformista, che consiste nel procedere al ripristino di una catena di comando, cioè alla responsabilizzazione di tutti gli snodi dell’apparato pubblico. Altrimenti siamo sempre alle "gride" manzoniane, che produrranno nuovi Azzeccagarbugli, e frustrazioni supplementari nei cittadini. Resteremo al cinque in condotta (non bastava il sette), ai grembiuli a scuola, alle critiche più o meno rimangiate ai professori «meridionali», all’idea che con un colpo di inventiva si risolve un problema storico, e che una battuta esorcizzi questioni secolari come le condizioni civili ed economiche del Mezzogiorno. Sempre a "la Repubblica", a fronte della constatazione che in Campania i redditi calano dell’8 per cento nell’arco di nove anni, Brunetta, con un «sorriso freddo», propone la sua ricetta: «La soluzione? Deportare i napoletani. Scherzo». Già, forse stiamo scherzando. È tutto uno scherzo, cattivo, anche se finora sembra che stiamo vincendo 60 a 1.

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