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Carmen cult

17/07/2008

Nella bassa stagione si riprende l’abitudine a fare zapping in modo compulsivo. Nell’ora del cocomero, quando l’afa notturna si attenua, si può fare il censimento della tv porcellona o boccaccesca: che è molto diversa, si badi bene, dalla macelleria fisica rintracciabile nei canali che mostrano le modelle di "Playboy" o qualche bordello in Arizona dove cowboy panciuti si accoppiano con signore quarantenni che filosofeggiano sul sesso (per punirli, evidentemente). Si trovano invece piuttosto spesso commedie italiane degli anni Settanta, i filmetti di serie B che hanno avuto la loro epoca e i loro protagonisti: Alvaro Vitali, Pippo Franco, Renzo Montagnani, Edwige Fenech e compagnia bella. Si tratta di pellicole spaventosamente brutte, che provocano una sincera pena al pensiero che il popolo potesse divertirsi con quella roba. Mica per moralismo: ma dopo avere visto dodici volte la scena in cui lei, la bonona, fa la doccia mentre il coglione guardone la spia dal buco della serratura, e fa versi da assatanato, che altro aggiungere? Però qualche sera fa, su un canale qualsiasi di Sky, è andato in onda un presunto cult della B- Comedy italiana. Si trattava dell’indimenticato "Ecco lingua d’argento", di Mauro Ivaldi, con Carmen Villani. Il punto che fa scattare l’ammirazione è quando lei, la Villani, arriva all’aeroporto, si siede tutta scosciata e la macchina da presa si abbassa per inquadrarle le mutande: al che, lei fa no con il ditino, «alza, alza, non è ancora il momento, troppa fretta». Siamo in pieno metafilm, in un gioco di ricatti e di risarcimenti al povero spettatore. Quella scena pazzesca vale una serata. Viva Carmen.

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