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Sapere dove si va

22/05/2008

Piccolo manuale di sopravvivenza democratica (nel senso del Partito democratico, s’intende). Ah, se solo si riuscisse a sottrarre la discussione sul futuro del Pd all’eterna questione bizantina della rivalità fra Veltroni e D’Alema! Perché altrimenti si ha la sensazione tristissima di essere tornati ai tempi della Fgci, o del popolo dei fax contro l’élite del partito, di quella volta che dal basso scelsero Walter e dall’alto invece Massimo… Il pensiero che il Pd debba ancora soffrire degli effetti di un dualismo nato ai tempi del Pci è particolarmente deprimente: soprattutto se si pensa a quali problemi politici reali il Pd dovrebbe invece dedicarsi. Punto primo. Dalle infinite e approfonditissime, e anche intrise di molto realismo, analisi sui risultati elettorali, che sempre vengono promesse e poco realizzate, bisognerebbe che qualcuno traesse qualche conclusione e soprattutto qualche indicazione di prospettiva sulla politica da seguire. Converrebbe infatti definire che cosa è oggi e che cosa sarà domani l’"entità Pd". Se continua ad avere la celebre vocazione maggioritaria; se si organizzerà per tentare di vincere le elezioni, una volta o l’altra; ovvero se ha intenzione di aprire una nuova strategia di alleanze, ed eventualmente con chi, dove e perché. Non è proprio facilissimo, si capisce. Ci vuole il buon senso casalingo di riconoscere che il 13-14 aprile 2008 il Pd ha subito una brutale sconfitta, anche senza calcolare le speranze suscitate dai sondaggi e andate deluse nella realtà. C’è una sconfitta in sé. Una sconfitta "noumeno". Ma le sconfitte possono essere un punto di partenza o un’occasione di frana. Vale a dire: oggi il Pd è una galassia in espansione, oppure una stella che collassa dentro se stessa? Davanti all’Italia riformista c’è un universo nuovo o un buco nero vecchio? L’alternativa non è soltanto teorica. Implica un orientamento della sua classe dirigente, cioè quella che una volta si chiamava "la linea". Bene, a quanto si vede la linea del Pd non è chiara. Una proiezione ottimistica nel futuro delineerebbe un partito in crescita, capace egemonicamente di rappresentare un’amplissima fascia di sfumature politiche, dal centro alla sinistra. Mentre una concezione più cauta porterebbe a ragionare nel modo seguente: il Pd è un grosso residuo politico, figlio della sinistra democristiana e nipote del Pci riformista. Le culture che rappresenta non hanno grande fortuna nell’Italia di oggi. Dunque è più conveniente pensare ad allargare l’alleanza, trattare con i cattolici dell’Udc, guardare ai socialisti, parlare con la sinistra radicale. Ovviamente non è soltanto una questione teorica. A quanto si capisce, anche la classe dirigente del Pd è divisa. Deve ancora metabolizzare la batosta e quindi non è pronta a guardare al futuro. La stessa infinita querelle Veltroni-D’Alema in fondo rispecchia questa divaricazione del pensiero politico possibile. Ma ciò che è da evitare riguarda i modi con cui affrontare il problema: se si resta nelle fumosità, tipo «sia chiaro che la vocazione maggioritaria non significa l’autosufficienza», e roba simile, si può anche chiudere bottega. Se qualcuno se lo fosse dimenticato, ci sono alle viste alcuni appuntamenti di rilievo. Uno, le elezioni europee, è un salto nel buio, perché con la proporzionale pura non c’è appello possibile al "voto utile" (e neanche la ragionevole possibilità di introdurre soglie di sbarramento, come aveva proposto Dario Franceschini), e si tratterà di vedere come si rimetteranno in pista i partiti della defunta Sinistra Arcobaleno. L’altro appuntamento riguarda il referendum elettorale, che comporta una posizione netta: vale a dire, se si crede ancora nella vocazione maggioritaria del Pd, si dovrebbe puntare sul referendum Segni-Guzzetta (che se approvato porterebbe all’assegnazione del premio di maggioranza al partito, e non alla coalizione vincente). Mentre qualora dovesse prevalere una concezione non espansiva del Pd, sarebbe meglio abbandonare le illusioni egemoniche e giocare con le carte, e le alleanze, disponibili. Sono discorsi di troppo lungo periodo? Mica tanto. Le ore passano in fretta, i mesi corrono, "tempus irreparabile fugit". Si può aspettare fiduciosamente la crisi del governicolo Berlusconi IV, quell’esecutivo formato famiglia, di fronte a processi socioeconomici più grandi di lui (lui governo e lui Berlusconi). Ma nel frattempo si potrebbe cercare una strada, un’idea, un partito. Non c’importa nulla sapere chi siamo e da dove veniamo: ma almeno sapere dove andiamo, questo sì, sarebbe utile.

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