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Insinna insegna

15/05/2008

All’insegna di Insinna. Uno getta un’occhiata su "Affari tuoi", il gioco delle scatole che si faceva una volta in tutti i mercati rionali, appassionandosi alla sorte di italiani medi che tentano il colpo della vita ma non si lamentano se l’affare si sgonfia; e poi si dedica, sempre su Raiuno, a "Ho sposato uno sbirro". Serie fortunata, diretta da Carmine Elia. Lui è Flavio, il commissario, lei è Christiane Filangieri, l’agente. Insinna è bravo alla solita maniera degli attori di telefilm italiani, che cantano e portano la croce, e qualche volta si fanno le domande e le risposte; la Filangieri è opportunamente svagata, qua e là appaiono vecchie glorie come Barbara Bouchet e Giovanna Ralli, a rinverdire la serata. Insomma, il telefilm, 12 puntate, funziona, eccome. Al massimo fanno un po’ tristezza gli allestimenti, quei mobili da mercatone, e ogni tanto una recitazione che dà sul romanesco, i difetti consueti delle fiction di casa nostra. Tuttavia "Ho sposato uno sbirro" è esemplare per un altro aspetto. Perché testimonia che l’Italia che guarda la televisione è una strana società, che ama la polizia, spasima per i carabinieri, spergiura su tutte le forze dell’ordine compresi i vigili urbani: mentre nel quotidiano non vuole saperne di regole e di ordine. Aspettiamo la prossima serie sulla guardia di finanza, che sicuramente avrà grandi ascolti degli evasori (come diceva la barzelletta raccontata da Silvio Berlusconi? Bussano alla porta. «Chi è?». «I ladri!». «Meno male, credevo che fossero i finanzieri»). Si potrebbe intitolarla "Ho sposato il Visco". Al primo adulterio, allargare le braccia: «Era solo una piccola evasione». Viscale, s’intende.

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