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Sindrome GIULIANO

13/03/2008

E se la moratoria sull’aborto, con relativa lista politica alle elezioni rappresentasse la vera storia personale e pubblica di un fraintendimento? Dell’effetto di una convinzione etica maturata nella propria coscienza e che tuttavia porta, nel giudizio sulle quantità, all’errore sociologico? Insomma, di una specie di illusione ottica che induce a scambiare il flusso di consensi individuali con un consenso di massa? Potrebbe trattarsi della "sindrome Ferrara": quella solitudine di fronte al mondo, ma anche al destino cinico e baro delle indagini demoscopiche, che porta perfino a chiedere conforto ai lettori, nel «giorno dell’angoscia», un colpo di scena per sfuggire al pessimismo elettorale: cari amici, ditemi se andare avanti o rinunciare. Di certo Giuliano Ferrara, 56 anni, direttore del "Foglio", (ex) star della tv intelligente, ex ministro di Silvio Berlusconi, ex Pci, ex craxiano, ex quasi tutto, è una forza della natura e dell’intelligenza. Non ci sono in Italia tante esperienze intellettuali, e perlomeno non ci sono negli ultimi vent’anni, che come la sua abbiano saputo scuotere l’opinione pubblica italiana. Prima con la tranquilla forza della faziosità neoliberista, quando sembrava che il Cavaliere fosse una dinamica reincarnazione reaganiana o thatcheriana; poi con la riscoperta dei valori, dei temi "etici", a cui peraltro il centrodestra italiano ufficiale non sembra politicamente avvinto, nemmeno nei comportamenti personali. È una storia che avviene tutta in pochi mesi, cioè da quando dopo avere registrato il successo politico e d’immagine del governo italiano all’Onu, con la moratoria sulla pena di morte, Ferrara decise di lanciare una moratoria analoga sull’aborto, evocando la grande «strage» contemporanea, il miliardo di non nati, l’eliminazione selettiva delle femmine, il rischio eugenetico, il supermarket tecnologico della specie. C’entra in tutto questo la fascinazione evocata e incarnata da Joseph Ratzinger, il papa teologo e filosofo, portatore e vessillifero agli occhi di Ferrara dell’ultimo pensiero forte dopo i debolismi novecenteschi e il crollo del marxismo. Forse ai tempi di una concezione consapevolmente e superbamente ieratica della Chiesa, il pontefice e la gerarchia vaticana avrebbero risposto a Giuliano il neofita come papa Pacelli rispose a Clare Boothe Luce, l’ambasciatrice americana convertitasi al cattolicesimo nel 1946 e fin troppo entusiasta, in udienza, nella sua professione di fede: «Signora, sono cattolico anch’io». C’era, è vero, il precedente della legge sulla fecondazione assistita, che sembrava poter mobilitare vescovi e fedeli. Invece stavolta le reazioni cattoliche sono state piuttosto morbide, laterali, sfuggenti. Diffidenze visibilissime nel cattolicesimo di sinistra, con accuse di clericalismo e toni aspri come quelli di Alberto Melloni, che ha richiamato l’Action française, il movimento della destra integralista di Maurras scomunicato nel 1928, e ha stabilito: «Quando perde le idee, la destra indossa i paramenti». Ma diffidenza simmetrica anche da parte del mainstream, della Cei, del quotidiano "Avvenire": distinguo, sottigliezze, riconoscimento di una battaglia giusta ma di metodi contestabili. E dunque conviene cercare di capire la tiepidezza, se non proprio la freddezza ecclesiastica, a fronte invece del fiume di lettere, fax, mail che si è riversato sul "Foglio", da parte di comunità, preti, parrocchie, ciellini, credenti integrali angosciati dalla «strage silenziosa». La prima giustificazione sarebbe politica. Ferrara e "Il Foglio", con tutta la stirpe degli atei devoti, vanno benissimo quando aprono fronti informali di polemica. Va benissimo la polemica contro l’islamismo, la difesa del Benedetto XVI di Ratisbona, la passione per le encicliche come la "Spe salvi", una certa animosità anche di tipo patrimoniale contro i Pacs, e perfino, sul versante basso, il disprezzo per i preservativi e forse gli anticoncezionali in genere, e la provocatoria ripubblicazione dell’"Humanae vitae" di Paolo VI, manifesto di un umanesimo coniugale che è in perfetta e totale antitesi con il consumismo erotico attuale (quello garantito infine dalla pillola RU486, cioè dall’aborto «in solitudine, sprofondato nella privacy»). Ma invece non va bene, il laico Ferrara, anche se la sua iniziativa ha assunto proporzioni mondiali, ha coinvolto il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, si è inserita nella campagna elettorale della Spagna zapaterista, sta raccogliendo consensi sparsi in tutto il pianeta, e non va bene la moratoria se diventa un programma elettorale, come sta avvenendo con la lista Aborto? No, grazie. Le gerarchie storcono il naso, anche dopo avere assistito alla stretta di mano fra Giulianone il Nichilista e Ratzinger, dopo la messa celebrata dal papa l’ultima domenica di febbraio in una chiesa romana. Un avvenimento organizzato mentre il cardinal Bertone era a Cuba, che ha suscitato anche qualche ironia negli ambienti della segreteria di Stato: «Non si era mai visto un baciamano "concesso" durante una campagna elettorale». Neanche nel ’48 con De Gasperi (e si parva licet, anche Berlusconi nel marzo 2006 fu respinto con perdite allorché aveva cercato di insinuarsi nella visita al papa della delegazione del Ppe). Perché sulla giustezza della battaglia di Ferrara, ovviamente, non ci possono essere dubbi: l’opposizione morale all’aborto è stata sancita anche nel decalogo che il nuovo direttore dell’"Osservatore Romano", Giovanni Maria Vian, ha ricordato di recente ai cattolici in politica. Ma tradurre politicamente un’idea etica appare rischioso ai vertici della chiesa. La strategia premiante è semmai quella inaugurata dal cardinale Camillo Ruini, allora presidente della Cei, all’epoca del referendum sulla procreazione assistita: coprire con il mantello prelatizio l’astensione, in modo da confondere il numero dei cattolici nella vastità astensionista (anche quella fisiologica) e appropriarsi alla fine della "vittoria". Mentre l’appoggio esplicito della chiesa sarebbe stato un azzardo politico insostenibile: se poi, come sembrano dire i sondaggi, la «lista pazza» di Ferrara dovesse prendere pochi decimali di punto, per il Vaticano si tratterebbe di una sconfitta catastrofica in una guerra nemmeno combattuta. Un’ipotesi diabolica. Tanto più che la lista Ferrara contiene un vizio politico d’origine, un "peccato originale" per restare in tema: e cioè è una lista di destra. Non si schiera al Senato per evitare problemi al Pdl, e trasferisce dentro lo schieramento moderato il fondamentalismo "single issue" di Ferrara. Vero che Berlusconi non li ha voluti, i ferraristi, in quanto «l’aborto è qualcosa di intimo» (ma soprattutto: «Sto dedicando i giorni, e anche le notti, a concentrare 18 sigle in una e ora Giuliano Ferrara me ne propone una in più…», così alla fine non ha voluto Ferrara nemmeno come candidato per il Campidoglio); ma il pensiero che attraverso l’istanza antiabortista passino per incanto a destra voti che di destra non sono costituisce in ogni caso un problema, oltre che un miracolo politico-ideologico. Non per "Big Giuliano", secondo il quale la sua non è politica, è «superpolitica». Ossia un progetto sovrannazionale, planetario, che investe la questione femminile nell’India delle bambine mai nate e nella Cina delle politiche di nascita selettiva. Forse qualcosa di non dissimile dalle iniziative utilmente "paranoiche" di Marco Pannella, con cui Ferrara ha rifiutato un confronto in tv per non cadere nelle trappole della convenzionalità televisiva, «per non ridurre la moratoria a un format» (ma poi è andato a "Le invasioni barbariche" a maltrattare senza costrutto la fredda e pugnace Daria Bignardi). Se le elezioni confermeranno i sondaggi, vale a dire se la pubblica opinione di massa rifiuterà la superpolitica d’élite del direttore del "Foglio", si riproporrà l’analisi del conflitto fra avanguardie e intendenza, o apocalittici e integrati, volendo. Una volta uno che di cattolici se ne intendeva, Mino Martinazzoli, ironizzò proprio su Pannella, dicendo che alla fine di ogni sua avventura avrebbe raccolto tutti i suoi seguaci e li avrebbe «venduti agli emiri». Ecco, dopo la possibile illusione ottica della moratoria, potrebbe anche darsi che di nuovo, per Giuliano, «la persona più intelligente d’Italia» nel giudizio di Antonio Socci, diventasse congruente l’immagine del Pifferaio di Hamelin: e che dopo avere affascinato i suoi sostenitori appassionati, pronti politicamente o misticamente a immolarsi per una missione di altissima qualità etica, non restasse altra strada che riprendere realisticamente il mare della politica. Con il rischio della normalità, con il timore della noia, come sempre dopo la delusione e la solitudine dei numeri. n

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