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IL Paradosso Gianfranco Fini

28/02/2008

Per avere voluto a tutti i costi le elezioni anticipate, Silvio Berlusconi doveva essere matematicamente, scientificamente certo della vittoria. In effetti fino a un paio di settimane fa prevedere una impasse del Popolo delle libertà sembrava più che altro una boutade. Ma è proprio scritto che a destra si prospettino soltanto magnifiche sorti, e progressive? E che quindi il Partito democratico debba soltanto puntare a una sconfitta onorevole, in attesa che il tempo faccia dimenticare il fallimento dell’alleanza che fu chiamata Unione, condizionata dalla sinistra radicale e sabotata alla fine dai centristi Mastella e Dini? Può darsi. Può darsi che per il momento occorra soprattutto parare i colpi e pararsi il didietro, per evitare il fatidico ombrello di Altan. Ma i sondaggi non sono una scienza esatta. Lo straordinario vantaggio vantato dal Cavaliere è un atto di fede, se è vero che i sondaggisti indipendenti stimano al 30 per cento i cittadini che non si pronunciano. Ma al di là dei dati scientifici ci sono altri metodi per cercare di indovinare i risultati elettorali. Valgono più o meno come l’analisi dei fondi di caffè o del volo degli uccelli, ma ognuno crede a ciò che vuole. E quindi le prossime elezioni possono anche essere divinate in base al "paradosso Fini". Non dite che non conoscete il paradosso Fini. Si chiama così perché Gianfranco Fini è l’uomo politico che ha sbagliato tutte, diconsi tutte, le grandi decisioni politiche; e ciò nonostante è riconosciuto dai sondaggi come l’uomo politico italiano dotato di maggiore credibilità. Mistero misterioso. L’elenco degli errori "strategici" del capo dell’ex An è impressionante. Poco prima di Tangentopoli inneggiava al fascismo come una teoria politica non transeunte, e proponeva un «fascismo del Duemila» come eterno destino dell’Msi. Poi si oppose al referendum maggioritario, convinto che il suo partito dovesse rimanere nella nicchia. Quindi alternò il bene e il male in un ottovolante da "tenetevi stretti": divenne maggioritarista fondamentalista, parlò di Mussolini come massimo statista del secolo, si unì allo sfortunato Mariotto Segni, ripudiò il fascismo «male assoluto», fece cadere il divo Tremonti. E infine ha annunciato che An si scioglierà nel Pdl. Ma chi può giurare che quest’ultima sia la "cosa giusta"? Fini potrebbe semplicemente avere ceduto il partito per assicurarsi la primogenitura. Ma la sua scelta rappresenta uno, e solo uno fra gli altri, dei processi in corso a destra. L’unificazione tra Forza Italia e An, con l’alleanza della Lega, prospetta una forza popolar-conservatrice più simile alla bavarese Csu che alla Cdu di Angela Merkel; in ogni caso ha liberato energie politiche a destra e al centro. A destra si aprono spazi per il duo Storace & Santanché, i quali faranno una fiammeggiante campagna contro "Esaù" Fini, reincarnazione del personaggio biblico che si vendette l’eredità per un piatto di lenticchie (in questo caso "un partito per uno strapuntino", secondo le battute feroci degli storaciani). Al centro invece si è determinato un affollamento imprevisto. L’Udc, la Rosa bianca, l’Udeur, ovvero Casini, Tabacci, l’orfano e sfrattato Mastella. A cui si aggiunge la campagna per la moratoria antiaborto di Giuliano Ferrara (che rimane credibile se va in solitaria, ma non come lista veicolo sospettata di trasferire voti cattolici a destra). Il fatto è che la politica è in movimento tellurico, tutta. E allora fare previsioni è un esercizio sterile, per il momento. Anche perché almeno finora il Pdl e Berlusconi in persona non sembrano avere proposto novità sostanziali, programmatiche, politiche o psicologiche. A quanto si capisce, il Cavaliere proporrà alcune fra le sue tipiche "ricette", misure di riduzione fiscale, provvedimentini che piacciono ai commercialisti e alle aziendine, oltre alle solite campagne contro piemme, giudici, intercettazioni, e la proposta della tolleranza zero contro i clandestini. Ma di un nuovo "sogno" finora non c’è traccia. È anche possibile che, come dice Giuseppe De Rita, il futuro si giochi sulle grandi connessioni infrastrutturali («Visto che non possiamo gingillarci ancora fra Ponte di Messina e pavimentazioni comunali»), e quindi sulla modernità delle proposte politiche. A cui forse è più disponibile il Pd, mentre il Pdl sembra ancora per molti versi espressione di corporazioni, categorie, clan professionali, notabilati, oltre all’elettorato d’ordine della vecchia An. Quell’Italia invecchiata che riesce difficile presentare come un’espressione di spinta e di innovazione, sarkozista o imprenditoriale che sia: quando in realtà è la solita Italiona di stampo corporativo. Corporazioni degli anni Duemila: ma sempre corporazioni sono.

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