gli articoli L'Espresso/

La bomba ratzinger

24/01/2008

Si può anche fare come dice Giulio Andreotti, quasi novantenne maestro del "caute nisi caste", e quindi passare immediatamente al troncare e sopire. L’insurrezione della Sapienza? Un affaruccio fabbricato malamente da qualche professore e da studenti incattiviti. Per la verità i docenti, concentrati nella facoltà di fisica, erano 67 e i "ragazzi" che hanno occupato la sala del senato accademico un centinaio; gli studenti mobilitati nella rivolta antipapale circa cinquecento. Saranno pochi o pochissimi rispetto ai 140mila della popolazione universitaria della Sapienza, ma si sa che secondo i teoremi leninisti sono le avanguardie a fare scattare le rivoluzioni. Solo che a Roma, nell’Università degli studi e dei saperi, della ricerca del dubbio e della tolleranza intellettuale, non c’è stata una rivoluzione. C’è stato un faccia a faccia piuttosto deprimente tra una versione apodittica della laicità e una versione intimorita dell’autorità e del prestigio della Chiesa cattolica. Con il contorno, probabilmente di una perplessità, chiamiamola così, se non di un’incomprensione dei fatti, da parte del governo, che alla fine si è trasformata in un incidente colossale sul piano diplomatico, e più ancora sul terreno politico. Certo, a uno sguardo scettico come quello di Andreotti sarà apparso ironico il faccia a faccia fra un’identità papalina della religione e una laicità rivendicata in modo tale da sfiorare, magari con minore eleganza, l’anticlericalismo d’antan. Ma anche senza gli scetticismi di chi è un cultore della Roma del Belli, e quindi conosce il rapporto ora devoto ora canagliesco fra il papa, l’aristocrazia e la plebe, bisognerebbe dire che il disastro diplomatico della Sapienza non rappresenta affatto lo specchio di un’Italia in cui avvengono scontri fra opposte visioni del mondo. Anzi, proprio in una sede come la maggiore università italiana, dopo avere citato Galilei, il metodo scientifico, Paul Feyerabend e l’anarchismo epistemologico, e magari tutti gli studiosi come Thomas Kuhn che hanno mostrato la natura "sociale" (e quindi mutevole, progrediente, relativa) della scienza, con le visioni bisognerebbe andarci piano, magari ricordando il vecchio motto di Max Weber: «Chi vuole una visione del mondo vada al cinematografo». Quindi niente problemi di "Weltanschauung", per ora, se non per alcuni fissati. Ma un problema politico sì, invece, e anche grande come una casa, per il centrosinistra. Perché sarebbe il caso di ricordare che il suddetto centrosinistra, e in particolare a suo tempo l’Ulivo, sono nati su un’idea centrale, ultimamente abbastanza oscurata: e questa idea è la convivenza, e anche la reciproca legittimazione e il mutuo rafforzamento, fra la solidarietà cattolica e la solidarietà (post)socialista. Tradotto in termini politicanti, ciò significa l’incontro fra sinistra Dc ed ex Pc; portato invece nella politica della seconda Repubblica, dopo le catastrofi dei primi anni Novanta, questo incontro ha determinato lo sfondo su cui si sono mobilitati molti cittadini, cattolici e non cattolici, dopo il tramonto della Dc e del Pci, alla ricerca di un terreno comune non esclusivamente compromissorio. Anche se questa sintesi era problematica, è stata in realtà il solo fattore che ha reso possibile su base "ideologica" e programmatica, le affermazioni elettorali del 1996 e del 2006. E quindi ci vuol poco a capire che il disastro di immagine dell’affare-Sapienza, con le ripercussioni sui rapporti con il Vaticano, lo sconterà primariamente il centrosinistra, cioè il governo, la maggioranza, il Pd, Romano Prodi, cioè il cattolico «adulto» che aveva osato differenziarsi dall’ex presidente della Cei, Camillo Ruini, in relazione al referendum sulla fecondazione assistita, e Walter Veltroni, che ha già subito gli effetti, pochi giorni fa, di uno scherzo autenticamente "da prete", con papa Ratzinger indotto a parlare del degrado della Capitale, (e successiva pressante diplomazia del Campidoglio per incassare una rettifica). Ora è chiaro che nel centrodestra i problemi su questo terreno non esistono. Nello schieramento di Berlusconi, Fini, Bossi e Casini i laici sono pressoché scomparsi, e al momento buono tacciono o sono ridotti al silenzio. Una volta almeno c’erano le boutade di Umberto Bossi, che di tanto in tanto accomunava il papa a uno dei poteri forti della Roma deteriore e se la prendeva folkloristicamente con i «vescovoni», simbolo di un’Italia clericale e affarista. Oggi invece c’è uno schieramento di opportunisti bigotti, i cui esponenti, compresi salottieri e mignottieri, cioè gente abituata a frequentare non tanto le chiese e le messe, bensì salotti e donnine, inneggiano a ogni posizione ecclesiastica, vaticana e papale che possa mettere in difficoltà la sinistra. Perché i problemi esistono, e come, nel centrosinistra. Ed esistono più che mai nel Pd. Dunque, di fronte a problemi politici, occorrono risposte politiche. E le risposte politiche vanno date alla svelta. Perché l’Unione è già una coperta troppo infeltrita, con i centristi che la tirano da una parte, prima Lamberto Dini e poi Clemente Mastella in seguito alle grane giudiziarie della sua gentile signora Sandra, e dall’altra tira la sinistra estesa fino alle frange antagoniste estreme. Se ci mettiamo anche il riemergere di un "cleavage" otto-novecentesco, come dicono i politologi, cioè la frattura di matrice cultural-religiosa, l’alleanza è finita, e andate in pace. Forse il comitato preposto al manifesto del Pd troverà una formula talmente vaga da accontentare la teodem e opusdeista Binetti e l’ateo totale Odifreddi. Ma probabilmente ormai siamo di fronte a uno di quei momenti dove le decisioni vengono ancora prima delle riflessioni ulteriori. Walter Veltroni sa di avere un compito, ambizioso e difficile insieme: né più né meno che la costruzione del famoso partito «a vocazione maggioritaria», cioè capace di proporsi da solo all’elettorato. Bene, è venuto il momento di dare seguito alle parole. Grazie al sistema proporzionale, approvato unilateralmente dal centrodestra nella legislatura scorsa, la società italiana si trova in una poltiglia (la «mucillagine» di Giuseppe De Rita) in cui anche le istituzioni non sono responsabili e in cui affondano, (e difatti producono, letteralmente, rifiuti). Finora tutti i tentativi di correggere il sistema sono avvenuti attraverso soluzioni tecniche, cioè riforme elettorali e istituzionali. Oggi probabilmente, dopo la crisi della Sapienza, bisogna cominciare a pensare che nessuna soluzione tecnica può passare senza l’esercizio effettivo di una leadership. Tradotto in termini più robusti: finora Veltroni si è dimostrato un tessitore abile, un uomo paziente, capace di dotarsi di una strategia di medio periodo e di seguirla con duttilità. Adesso però sembra decisamente venuto il momento di esercitare il comando più che di raccogliere e organizzare il consenso. Sulla scia della decisione della Corte costituzionale a proposito del referendum Guzzetta-Segni, occorrerà passare all’azione. Il che non significa, meglio intendersi subito, scegliere tra fede e scienza, o tra laicità e qualcos’altro. Vuol dire indicare le priorità, un abbozzo di programma per il partito, chiedere chi ci sta: e andare avanti per la propria strada. L’intendenza seguirà, come diceva un grande leader francese. n

Facebook Twitter Google Email Email