Il Pd è morto. No, è vivo. Storie, il Pd è un partito «mai nato», lo dice Francesco Rutelli nel suo annunciatissimo libro. Mentre i circoli votano, stanno per arrivare congresso e primarie, e i candidati Franceschini, Bersani e Marino se le danno un po’ scolasticamente, dovrebbe chiarirsi la fisionomia del Pd. Il partito a vocazione maggioritaria, che Walter Veltroni portò a schiantarsi contro l’Armada di Silvio Berlusconi. Il partito «minoranza permanente», come disse Massimo D’Alema dopo la batosta elettorale del 2008. Per adesso, in ogni caso, un partito in surplace, cioè in attesa che emerga una leadership, che il partito esca dall’afasia e cominci a comunicare qualcosa all’opinione pubblica italiana, e non soltanto una generica quanto fondamentalista contrapposizione al berlusconismo. La posta in gioco è sostanziosa, perché si colloca nel solco della profonda crisi della sinistra europea, quella che coinvolge e forse travolge i laburisti nel Regno Unito e la socialdemocrazia in Germania. Roba da farsi venire i capelli dritti, mentre Berlusconi, dalla festa del Pdl a Milano, grida con la sua faccia più minacciosa: «Saremo sempre qui!», vale a dire, noi non ce ne andremo mai e voi non governerete mai più. Roba da brividi. Il pensiero di essere una nicchia incapace di competere per il governo del paese, e che si autorassicura con le proprie rabbie, è desolante per chi ha sempre avuto in mente una sinistra in grado di porsi alla guida del paese. Ma per riuscire a diventare il partito credibilmente alternativo al berlusconismo, il Pd deve affrontare alcuni punti caldi. Qui se ne sono individuati dieci, alcuni di prospettiva, altri legati al dibattito quotidiano ma che si proiettano sull’identità del partito. Tenetevi stretti, si parte. Punto caldo numero 1 Ma che partito è il Pd? Qual è la sua struttura? La sua organizzazione? È una entità liquida, vaporosa, gassosa, il partito etereo senza tessere, oppure è un partito solido, novecentesco, il «partito bocciofila» evocato da Bersani? Tutti sostengono, mentore Ilvo Diamanti, che oggi nelle competizioni elettorali la geografia ha sostituito la storia, e quindi occorre tornare al territorio. Dunque bisogna fare come la Lega, il cui lavoro «assomiglia a quello del vecchio Pci». Ma sono pochissimi i dirigenti pd che sanno effettivamente che cosa significhi lavorare sul territorio. I più giovani spesso assomigliano nel look a buttafuori da discoteca, i meno giovani si dedicano al revival degli anni Sessanta, in certe aree del Meridione il Pd è il partito delle tessere. Che fare? Per il momento conviene affrontare temi più filosofici. Punto caldo numero 2 Eccolo, appunto, il tema filosofico. La laicità. Che poi tanto filosofico e astratto non è, perché implica fratture politiche importanti. Intanto c’è un candidato alla segreteria, Ignazio Marino, che sembrava un candidato di pura testimonianza e invece sta raccogliendo percentuali significative, specialmente al Nord, come portatore di modernità: si vota Marino per segnalare un’idea di partito che si pone con chiarezza sul crinale dei dilemmi etici, ma che enuncia anche una radicalità modernista sui temi economici e infrastrutturali (ad esempio con il no all’energia nucleare). E poi c’è la contrapposizione ideologico-culturale fra ex Ds e laici vari, da un lato, e cattolici dall’altro: la linea di scontro si può trovare su qualsiasi argomento, dalla pillola Ru486 al biotestamento, con i "teodem" che non sono disposti a rinunciare alle loro posizioni o a modificarle in seguito a una discussione a maggioranza interna al partito. Quindi il principio di laicità è uno degli scogli su cui può naufragare il partito. Che dicono in proposito gli altri candidati, e in particolare, che dice il segretario Franceschini? Punto caldo numero 3 Già: Franceschini estremizza. Si butta a sinistra. Si laicizza. In realtà Franceschini ha un solo schema giocabile, il modello bipolare, e lo gioca con coerenza. Il segretario pensa che il pericolo maggiore per il Pd consista nella contaminazione centrista, e nella scomposizione del sistema politico. Per questo difende con le unghie il sistema bipolare dalle insidie del Grande Centro, anche se sa benissimo che nell’assetto politico attuale il Pd ha davanti a sé anni di opposizione. Ma Franceschini non è un dc classico, qualche anno fa inclinava verso i cristiano-sociali, e la sua collocazione a sinistra, che pure era già forte, sta diventando un elemento discriminante nella lotta per la segreteria. Nella formula bipolare, Franceschini è il candidato più di sinistra. Ma il Pd è un partito di sinistra? Punto caldo numero 4 Bersani dice di sì, che il Pd deve essere un partito in cui si può pronunciare la parola sinistra. Ma Bersani, se vince, rischia di essere un vincitore d’apparato. Eccolo qui, un punto caldissimo. Perché il piacentino Bersani si propone come colui che può interpretare modernamente il compromesso all’emiliana. Socialdemocrazia classica. Ma con la sua corte di amministratori, cooperatori, volontari delle feste di partito, vecchi compagni dell’Anpi, rischia di apparire come il candidato che fa risuonare antiche lealtà nel cuore del vecchio Pci. Avanti o popolo. Se questa idea circola, Bersani è fritto. Uno dei suoi sostenitori, il cattolico Enrico Letta, dice: «No, il rischio non c’è, il rimescolamento c’è già stato ed è stato profondo». Mentre Marco Follini è meno sicuro: «Dipende tutto dal dopo primarie, dai primi cento giorni. Tocca a Bersani riuscire a trasmettere un’idea nuova di sé e del partito. Per me può farcela, ma ci vuole uno sforzo culturale inedito». Punto caldo numero 5 Solo due parole per un punto sempre caldissimo a sinistra, la "questione D’Alema". Cioè il leader più amato e più detestato del centrosinistra. Quello che «capotavola è dove mi siedo io». Il principe elettore di Bersani. «Colui che con una sola battuta potrebbe incenerire una candidatura» (attribuita ad ambienti bolognesi vicini all’ex leader dell’Unione Romano Prodi). Finora la prudenza ha prevalso e nessuno ha potuto dire che Bersani è il pupo di un puparo di Gallipoli. Domani si vedrà, e il silenzio di D’Alema sarebbe comunque d’oro. Punto caldo numero 6 Questione morale. Questione barese. Non ci si è capito niente, tranne che nel Pd un tale vicepresidente regionale Frisullo ha accettato la compagnia di qualche escort gentilmente offerta dal procacciatore della real casa Gianpaolo Tarantini, che un tale assessore Tedesco, ex destra ora Pd, è sotto tiro per gli appalti nella sanità, che Nichi Vendola ha azzerato la giunta regionale, accusando però il pm di abitudini ostili a sé medesimo e alla propria politica, che D’Alema ha fatto qualche cena forse discutibile. In generale tutto questo è solo la conferma che quando il cielo si svuota di Dio la terra si popola di idoli (Karl Barth), cioè che senza ideali in politica prevalgono gli interessi. Problema complicato, già affrontato da Michels e Weber. Come si risolve? Con un sistema di comando più serio, ossia con un partito che funziona (vedi al punto caldo numero 1). Punto caldo numero 7 Punto incandescente, perché riguarda la possibile disintegrazione del Pd. Mettiamo il caso che alla fine del ciclo congresso-primarie si abbia generalmente la sensazione che il Pd sia in effetti una pallida finzione politica, ma che la sua struttura interna giustifichi il sospetto di chi vede confermarsi la deriva ventennale "Pci-Pds-Ds-Pd". A quel punto, centristi e cattolici potrebbero sentirsi ospiti in una casa che non è la loro, e guardarsi intorno per vedere se c’è qualche altro affittuario, con un’altra casa. Punto caldo numero 8 Ma certo che c’è un’altra casa. È il grande, medio o piccolo centro. In parte occupato da Pier Ferdinando Casini. Ma in parte ancora tutto da costruire. Guardano al centro (e Franceschini, come detto, si irrigidisce per questo sul bipolarismo) tutti coloro che pensano che ogni soluzione sia migliore rispetto al blocco politico attuale, all’idea dell’eternità berlusconiana, a un governo inamovibile. Tanto vale, pensano costoro, procedere alla scomposizione del sistema, con tanti saluti a vent’anni di tentativi di cambiare l’Italia con le riforme elettorali e istituzionali. Al momento buono entrerà in campo Luca Cordero di Montezemolo, mentre intanto la sua fondazione "ItaliaFutura", sotto la regia del "boy" Andrea Romano, promuove studi liberalriformisti sulla mobilità sociale. È «l’Italia del buonsenso» evocata spesso da Casini. Ed è un magnete formidabile se si scatena una crisi politica grave, a sinistra (con la disgregazione del Pd) come a destra (con la caduta di Berlusconi, per scandali erotici, pronunce della corte sul Lodo Alfano o per faide interne al Pdl). Punto caldo numero 9 Parliamo una buona volta di alleanze? Perché liquidata la vocazione maggioritaria di Veltroni, si tratterà di capire, e finora non si è capito, se e quali alleanze verranno perseguite. Cari candidati, e cari specialisti nelle critiche a Di Pietro, volete dire qualcosa in proposito, senza le solite fumosità? Tanto per dire: qualcuno ricorda che la destra è stata battuta solo quando Prodi ha riunito tutte le forze del centrosinistra? Punto caldo numero 10 Qualcuno dei candidati ha una concezione economica e sociale da proporre? Qualcuno ha preso nota di ciò che è avvenuto con le elezioni in Germania? Sostiene Giuseppe De Rita, gran sociologo del Censis, che i politici devono soprattutto individuare il «ciclo lungo» e cavalcarlo. Ora, dentro una crisi che solo adesso fa sentire i suoi effetti sulle aziende e sull’occupazione, qual è il ciclo lungo? Dovrebbe far riflettere il fatto che negli ultimi sessant’anni l’arcipelago del benessere è stato l’Europa "renana", che ha distribuito ricchezza attraverso l’economia sociale di mercato. Ci vorrebbe qualcuno che sapesse salire sull’onda della crisi e riproporre un modello europeo rivisitato. Perché dopo la fine del ciclo neoliberista bisogna proporre un’alternativa, per non farsela scippare dalla destra e da Tremonti. Chissà se fra i magnifici tre ce n’è uno in grado di fare surf sull’onda lunga dell’uscita dalla crisi. n
08/10/2009
ATTUALITA'
Il cantiere del centrosinistra