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Il Tevere più largo

10/09/2009

Con ogni probabilità il caso Boffo si è dilatato oltre ogni previsione e ogni calcolo tattico. Doveva essere un siluro contro il direttore di "Avvenire", colpevole di avere dato voce a lettori, laici e consacrati, che criticavano il silenzio della Chiesa sui comportamenti erotici di Silvio Berlusconi; si è tramutato ben presto in un ordigno a testata multipla che ha fatto danni molteplici nel rapporto fra Palazzo Chigi e il Vaticano. Piccole e grandi esplosioni si sono susseguite qua e là, divisioni e pareri discordanti si sono manifestate fra i vescovi, il direttore dell’"Osservatore Romano" ha difeso formalmente Boffo criticandolo con asprezza nella sostanza del suo modo di dirigere il giornale della Cei, e addirittura il Papa si è sentito coinvolto, fino al punto di manifestare il proprio sostegno alla Conferenza episcopale. Ma la conseguenza principale è quella in apparenza meno visibile: perché dall’"incidente Boffo" in poi è cambiato radicalmente il rapporto fra le gerarchie ecclesiastiche e il sistema di potere che ha al proprio centro Berlusconi. Prima, il premier poteva intestarsi una specie di rapporto preferenziale, anche se non formalizzato, con i vertici del mondo cattolico. Un asse che si realizzava con le scelte di governo, ispirate a reverenza e conformismo per le preferenze vaticane. Basti ricordare la legge sulla fecondazione assistita, il caso Englaro e la legge sulla fine vita, la riluttanza a regolare il divorzio breve, la repulsione per la pillola Ru486, l’appoggio anche economico alla scuola privata. Era un governo al cui centro Berlusconi poteva arrogarsi un ruolo importante, di gestore "lateranense" del regime concordatario nonché di interprete del sentimento religioso prevalente nel paese. Si trattava di un ruolo ideologico, fondato su una visione culturale deformata della realtà italiana e delle idee che serpeggiano nella nostra società. In quanto tale, il sospetto di strumentalità era più che fondato. Ma l’accordo sostanziale fra la gerarchia e il premier risultava conveniente per entrambi. La Chiesa traeva benefici in termini valoriali e pratici, Berlusconi conseguiva guadagni in termini di consenso. Ora invece si fronteggiano, praticamente senza mediazioni, due poteri. Per buona parte della Cei, è risultato incredibile che il direttore del "Giornale" potesse attaccare il direttore di "Avvenire" senza rendersi conto che in questo modo infliggeva una ferita cruenta anche ai vescovi. Di qui a immaginare una strategia concordata di Feltri e Berlusconi ne corre, tuttavia anche nella Cei vige il principio andreottiano secondo cui a pensare male si fa peccato ma ci si azzecca. E in questo caso il pensare male coinvolge l’idea che per difendersi dai propri peccati il Cavaliere abbia conferito al direttore del giornale di famiglia un mandato talmente ampio da implicare necessariamente la possibilità di qualche incidente anche grave, o di qualche vittima per fuoco amico. A tutto ciò si aggiunge una pressione che viene dal cattolicesimo di base, dalle parrocchie, dove i calcoli di realismo politico della gerarchia verso i comportamenti pubblico-privati del premier vengono considerati un’ipocrisia difficilmente tollerabile in base ai criteri del magistero cattolico. Quindi riesce difficile pensare che dopo il caso Boffo i rapporti possano tornare com’erano all’origine. Ci sono troppe tensioni fra un vertice vaticano desideroso di ripristinare le relazioni secondo il vecchio e consumato schema e altri settori del cattolicesimo nazionale che considerano ormai inaffidabile un uomo politico che si era affacciato sulla scena politica come un campione della tradizione cattolica, e ora appare gravato da un divorzio incombente, da inclinazioni personali incontrollabili, e da un’eccessiva scioltezza nel gestire le proprie armi mediatiche che può configurare una sostanziale inaffidabilità. I rapporti con Berlusconi entrano quindi in una fase fluida, in cui gli apparati diplomatici conteranno molto più delle relazioni personali, specialità del capo del Pdl. E senza dubbio le diplomazie sono sempre lente e prudenti: ma si porranno, con ragionevolezza, con buon senso e realismo, il problema di individuare un altro interlocutore, una persona capace ad un tempo di soddisfare la gerarchia e di non scandalizzare il popolo di Dio.

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