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Un governo sotto ricatto

12/08/2009
PORTE GIREVOLI

Con le elezioni del 2008 era stata molto sottovalutata la formazione dell’alleanza di centrodestra. Silvio Berlusconi aveva messo insieme, intorno ai due partiti nucleo del Popolo della libertà, Forza Italia e An, due forze territoriali in chiara opposizione reciproca: al Nord la Lega di Bossi, e in Sicilia il Movimento per l’autonomia di Raffaele Lombardo. Pochi avevano valutato l’intrinseca contraddizione di questa coalizione. Sarebbe dovuto risultare evidente che era bizzarro avere nella stessa alleanza politica un movimento come la Lega, che in nome del federalismo richiedeva che le risorse degli elettori restassero al Nord, e un’altra che pretendeva fiscalità di vantaggio e trasferimenti pubblici al Sud. Probabilmente la sottovalutazione era determinata dalle dimensioni ridotte del movimento siciliano. Ma anche mettendo a bilancio questo aspetto, si doveva capire che per evitare conflitti politici interni alla compagine di centrodestra la compresenza di queste due forze politiche poteva essere trattata dal governo Berlusconi soltanto in un modo. Vale a dire con l’erogazione di spesa pubblica. Un classico della prima Repubblica. Destinato a divenire un metodo della Seconda, o comunque si chiami il sistema istituzionale in cui ci troviamo, se la spregiudicatezza degli attori locali poteva decidere di giocare la partita dei veti e dei ricatti. Va interpretata in questo modo la mancata nascita, o quasi nascita, o nascita abortita, del "Partito del Sud". Una iniziativa politica che certamente per il momento non ha messo in tensione estrema il centrodestra, ma ha chiarito le innumerevoli possibilità di ricatto politico implicite in una situazione che invece sembrava stabilizzata dai numeri parlamentari del Pdl. Eugenio Scalfari su "Repubblica", in proposito, ha parlato di «secessione silenziosa». Il termine è forte ma mette in luce l’assenza di un disegno generale per il Paese, e gli interessi che possono essere giocati da un’area territoriale contro l’altra, nella più completa indifferenza per un disegno comune e per un equilibrio che rispetti le compatibilità sociali e territoriali. Altro che "dualismo", storica condanna dell’Italia alle prese con territori sottosviluppati e con politiche di sostegno via via fallimentari: oggi potremmo essere in presenza di una dissoluzione potenziale della configurazione nazionale. Il governo di centrodestra ha risolto, almeno per ora, la questione impegnando 4 miliardi di euro, e sostenendo con le parole del ministro Claudio Scajola che queste risorse serviranno a rimettere in moto l’economia reale della Sicilia. I protagonisti della "piccola secessione" come Lombardo e Micciché possono vantare un risultato politico evidente. Ma intanto si tratta di vedere se questo ammontare verrà effettivamente utilizzato nel rilancio del sistema produttivo siciliano, o finirà nel calderone della spesa corrente e della cattiva ordinaria amministrazione. Già: è un vizietto del centrodestra dilatare la spesa pubblica senza che si sappia dove i soldi vadano a finire. Anche in questa legislatura, lo ha segnalato ancora Scalfari nel più completo silenzio dell’esecutivo, l’incremento è scappato di mano (per un totale che tocca i 35 miliardi, una superfinanziaria) senza che nessuno sia stato in grado o abbia voluto indicare a che cosa siano serviti. È un problema che riguarda anche la situazione locale. E nel futuro potrebbe concernere anche la grande corsa e il grande assalto alla diligenza, non appena i governi regionali e le classi politiche locali si renderanno conto che per nutrire le loro nuove clientele potranno muovere all’assalto del governo centrale. Tutto questo non sembra preoccupare l’opinione pubblica, che pure dovrebbe guardare con inquietudine all’andamento dei conti pubblici. Ma, oltre alle questioni finanziarie, l’elemento centrale, anzi cruciale, è la perdita di un orientamento comune. Il pensiero che la tenuta del Paese è assicurata soltanto dalla capacità di mediazione fra rivendicazioni localistiche e mediazione "dorotea" del governo centrale getta una luce sconfortante sulla capacità del Sud, cioè del Paese, di crescere e svilupparsi. Ci sono le premesse per assistere a un hobbesiano "bellum omnium contra omnes", ossia a una competizione famelica per sottrarre risorse senza innescare processi adeguati di sviluppo. A una balcanizzazione di un terzo del paese. Già adesso, come da qualche anno segnala la Svimez, tutti gli indici del Sud sono più deboli rispetto al Nord (non solo quelli economici e produttivi, anche quelli civili, scuole, biblioteche, ecc.). Pensare di risolvere questa situazione con le trovate finanziarie equivale a pensare a un Mezzogiorno che si illude di salvarsi ai danni della nazione.

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