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Fattore Simona

04/06/2009
TELEVISIONE

Il ritiro di Simona Ventura dalla 3ª edizione di "X Factor" sarà pure legato a «motivazioni personali», i figli, la famiglia. E quindi finirà nel catalogo delle emergenze individuali, senza nessun riflesso sulla dimensione televisiva della faccenda. Tanto più che di tutta l’équipe del programma, dalla Maionchi a Morgan e Facchinetti, la Ventura era la meno attrezzata musicalmente, e quindi di per sé la perdita non è particolarmente grave (a parte la scollatura bionica). Ma la défaillance di Simona impone, eh sì, impone una riflessione sul programma e sul suo spirito più autentico, sulle ragioni del suo successo e sulla sua filosofia, ammesso che sia lecito chiamarla così. Vale a dire: essendo una delle trasmissioni di maggiore successo di Raidue, e quindi di Antonio Marano, non si può trattarla come un programma "normale". Nel suo genere, cioè fra i talent show, "X Factor" è un caso a sé. Ci sono cantanti mediamente bravi, degli esecutori mediamente professionali, un medio coinvolgimento del pubblico. Si può dire che in realtà "X Factor" è il trionfo dell’esecuzione media, con tutte le conseguenze del caso. Difatti dal programma viene fuori musica omologata, aderente a un gusto generalizzato e uniforme, poco distinguibile dal flusso ambientale di suoni in ci siamo tutti collocati. Insomma, "X Factor" è un produttore di standard e un distruttore di stili. Niente di male, così va il sound contemporaneo. Ma almeno la Ventura non capiva niente di musica, e quindi introduceva qualche alterazione cognitiva. La prossima volta, senza i suoi entusiasmi caotici, il programma potrebbe essere ancora più prevedibile.

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