L’annuncio di Silvio Berlusconi «No alla società multietnica» rischia di essere un autentico manifesto culturale per l’Italia di destra. Il capo del Popolo della libertà non fa nulla per nulla. Ogni sua misura politica è funzionale a un disegno di ricomposizione sociale e ideologica. E oggi si ha l’impressione che l’intento berlusconiano sia quello di rendere più compatta la fusione tra le componenti della destra. Ha scarse possibilità di venire a patti con le frange finiane di An, in cui il presidente della Camera raccoglie sensibilità radicalconservatrici e nello stesso tempo modernizzanti, secondo una prospettiva ispirata a moduli di ispirazione all’incirca francese. Berlusconi invece ha bisogno di riunire in un quadro concettuale pulsioni esplicitamente italiane, nazionali, domestiche, con l’obiettivo di realizzare davvero il Partito degli italiani, quello del 51 per cento. Per riuscirci, non ha bisogno affatto di modernità. Nel Centro del paese ha più che altro la necessità di stringere i bulloni del potere con i suoi uomini, assicurando l’opinione pubblica che non tanto il governo conta (il governo è in realtà una tellurica parata di annunci e di presenzialismi), quanto l’amministrazione del potere, attraverso la fitta genia dei Martusciello locali. Nel Sud, conta la capacità di stringere cartelli di clientele, sempre sismici organizzativamente, sottoposti alle manovre di uomini come Raffaele Lombardo, ma comunque gestibili perché anche i "clientes" sono sensibili agli assetti di lungo periodo, soprattutto dove il territorio politico e il consenso sono presidiati con efficace pressione persuasiva. La questione, come sempre, nasce al Nord, perché nelle regioni settentrionali il faccia a faccia con la Lega è evidente: Bossi e Berlusconi sono nello stesso tempo alleati e rivali, competitivi su elettorati analoghi, gelosi della propria qualificazione identitaria. Per questo il proclama di Berlusconi, con quel "no" così enfatico alla società multietnica, ha dettato il senso di un implicito manifesto ideologico. È presto per definire una sorta di "heiderizzazione" del premier. Ma non è affatto prematuro vedere nell’azione berlusconiana le premesse per una svolta netta. Lo hanno colto segmenti del mondo ecclesiastico, le organizzazioni di volontariato, frange vaticane, i cattolici con la barba e il mal di pancia politico. La popolarità di Berlusconi, tutta da verificare sul piano empirico-elettorale, e sul terreno dell’efficienza governativa, è tuttavia impressionante nella capacità di fabbricare un composto di consenso egemonico sul terreno culturale. Vale a dire che in questo momento il centrodestra sembra potersi permettere quasi tutto. È vero che non ha più una cultura politica ed economica, dato che il suo tardoliberismo da cortile si è inabissato con la crisi globale e le ricette caotiche del governo (vedi il penoso fallimento anche morale di Robin tax e social card, nonché i decantati incentivi agli straordinari, favola bella della recessione che ieri illuse anche i confindustriali). Ma nello stesso tempo sembra in grado di rilanciare una serie di pulsioni prepolitiche, che si rivolgono alla pancia del Nord. Allarmi securitari, revanscismi imprenditoriali, sostanziale indifferenza, se non proprio diffidenza esplicita dal basso, verso le proiezioni internazionali di un gruppo come la Fiat. In un contesto simile, Berlusconi ha bisogno di chiamare a raccolta proprio il suo «popolo»: gli occorre una specie di sfondamento che non può avvenire sui numeri dell’economia (ma andiamo, con le imprese attaccate all’ossigeno alla cassa integrazione), ma può invece verificarsi nella composizione di un blocco sociale in grado di occupare le regioni del Nord. Non è detto che l’operazione riesca in modo integrale, anche se ci sono buone possibilità, e Berlusconi ha cominciato a ricordarle con insistenza, di omologare le ultime province in mano alla sinistra alla filiera della destra. Purtroppo tutto ciò sta avvenendo mentre dà segni evidenti di sfaldamento e di decrepitezza l’establishment del Pci trasbordato nel Pd. E quindi la resistenza è smorta. I segnali di smobilitazione, se non di vero degrado, si diffondono. Berlusconi intravede quindi la possibilità di una svolta anche emotiva: basta con le complicazioni sociologiche, avanti con l’azione di contrasto sulla sicurezza e i clandestini, reale o figurativa che sia, procedere all’occupazione completa degli spazi civili e soprattutto corporativi del Nord. Con Bossi e Maroni la «quadra» si trova, a dispetto del referendum. Con il paese Italia, e la sua complessità multietnica, potrebbe per il momento essere sufficiente procedere a forza di proclami.
21/05/2009
PORTE GIREVOLI