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Dario che calvario

16/04/2009

A fare da spia delle insofferenze fra cattolici ed ex comunisti nel Pd non sarà l’annuncio che Ciriaco De Mita si candida con l’Udc alle elezioni europee. C’è piuttosto tutto l’arco delle questioni sulla bioetica, dalla fecondazione assistita al biotestamento. E soprattutto c’è una sostanziale incomprensione sul programma politico generale. Obbligata quindi la conclusione, di stretta osservanza dalemiana, secondo cui il Pd è davvero «un amalgama mal riuscito»? Dario Franceschini ce la mette tutta per provare a ridare un’impronta politica al partito. Ha spostato a sinistra il discorso pubblico, con l’accento su una fiscalità redistributiva. È andato al Circo Massimo con la Cgil, sfidando le conseguenze di scossoni con la Cisl e la Uil. Ha innalzato il tasso di antiberlusconismo, talvolta con giudizi al limite dell’incomprensibile, come quando ha detto che Berlusconi è arrivato all’ultimo giro della sua corsa politica. Tuttavia sembra di avvertire nel Pd una sostanziale sfiducia. Circola un dubbio esistenziale: all’attesa messianica del Partito democratico come compimento di un processo politico lungo anni, se non decenni, si va sostituendo il sospetto che la casa comune sia sbagliata. Le storie sono diverse, non c’è dubbio; e se le differenze fossero inconciliabili? Alla sua maniera Franceschini cerca una sintesi per salvare il salvabile, attingendo al suo repertorio più da cristiano-sociale che da democristiano. Conta anche su un effetto psicologico, il fortino assediato, la nave che rischia il naufragio. Da una parte la minaccia Di Pietro, dall’altra l’ombra dei sondaggi. Il segretario del Pd ha intuito che il punto di sintesi può avvenire, almeno nel breve termine, non tanto sui valori, i criteri guida, la sfera dei diritti, la laicità: questo è un campo minato. Quindi Franceschini prova a puntare su idee economiche, su un’idea di assetto sociale solidarista, su una concezione più a sinistra di Veltroni e perfino di Prodi. Tuttavia il vero punto dolente dei cattolici nel Pd è l’impossibilità genetica di essere e sentirsi opposizione permanente, «minoranza strutturale» per dirla sempre con D’Alema. Senza la prova del governo, per gli ex dc, non c’è politica. E qui si arriva al dilemma di fondo: il Pd non sta insieme se non è il fulcro di una politica di alleanze. Cattolici e postcomunisti possono convivere soltanto se le loro idee si intrecciano con altre ispirazioni politiche. Qualcuno lo sussurra già da tempo: senza dirlo in pubblico, per non sembrare passatisti, forse occorrerà ripartire dall’Ulivo.

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