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Fiction di lotta e Di Vittorio

02/04/2009

La critica è stata unanime. La fiction su Giuseppe Di Vittorio, realizzata per Raiuno da Alberto Negrin ("Pane e libertà"), era la solita pappa: pura oleografia, una successione di momentacci emozionanti, e di effetti commoventi, grandi colpi alla pancia dello spettatore, nessun approfondimento riflessivo sul marxismo il sindacalismo il riformismo il soviettismo e bla bla. Il pubblico tuttavia è stato unanime anche lui, concedendo al film circa sei milioni di spettatori, e consentendo al povero Di Vittorio di lottare alla grande contro la solita pappa di reality e programmastri vari. E allora? La critica ha sempre torto? Il pubblico ha sempre ragione? Si può anche affrontare il tema in via laterale. Dunque, Di Vittorio non lo conosce più praticamente nessuno: il pubblico televisivo ha scarsa consapevolezza della storia. Quindi l’interesse del pubblico non nasceva dalla nostalgia, dalla memoria o dal vissuto. Ma evidentemente vale per il sindacato, la disuguaglianza, la ricerca della giustizia sociale quel che vale per Francesco Guccini, che quando canta "La locomotiva" alzano il pugno chiuso e inneggiano alla fiaccola dell’anarchia anche quelli che dopo essere stati rivoluzionari da giovani adesso votano per il Pdl. Insomma, il film su Di Vittorio, interpretato da Pierfrancesco Favino, recupera sentimenti antichi, molto fuori moda nell’Italia del glamour straccione e del sesso pataccaro. Il regista Negrin ha intercettato il solito pubblico di Raiuno ed è riuscito a tenerlo lì, facendogli vedere il nostro come eravamo. Può essere uno schema televisivo, per fiction future. Ma a pensarci bene, può essere anche uno schema politico, volendo.

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