Sarà la consapevolezza per cui è lunghissimo il tempo necessario prima di avere a disposizione una rivincita elettorale. Sarà pure la sensazione che l’opposizione è in difficoltà permanente, perché nulla nuoce alle forze politiche, in questa tarda modernità dove si conta molto o non si conta nulla, più dello stare fuori dal circuito del potere. Ma il sospetto che circola è che la società italiana si stia abituando a Silvio Berlusconi, e al suo stile di governo, ciò che va sotto il nome di berlusconismo. Adesso lo si è capito: Berlusconi e i suoi uomini non rappresentano nessuna ideologia o linea culturale. Il liberismo sbandierato a lungo è diventato un antiliberismo cauteloso, gestito soprattutto dall’abilità di Giulio Tremonti, un maestro nell’instillare negli altri, alleati e avversari, acuti complessi di inferiorità. In questi ultimi tempi, la statura politica di Tremonti è molto aumentata, la sua capacità di descrivere l’andamento della crisi lo ha reso più credibile, e anche alcuni suoi provvedimenti, come i Tremonti bond, nonostante alcuni limiti tecnici difficilmente comprensibili, legati a un tasso d’interesse troppo elevato per le banche, sono apparsi una risposta significativa alla crisi del credito. Non conta che le doti predittive del ministro dell’Economia siano state contraddette dalle sue misure empiriche (tipo la tassazione sui sovraprofitti delle banche, la Robin Tax, che ora ha assunto un risvolto grottesco). In questo momento la forza del berlusconismo è rappresentata dalla sua sostanziale assenza di linea politica. Soltanto con sforzi analitici immani sarebbe possibile ricostruire la girandola di provvedimenti veri e presunti che dovrebbero avere movimentato risorse per reagire alla crisi economica. Tanto per dire, la crisi è stata a lungo negata. Poi minimizzata. Attribuita ai processi «autoavverantisi» della comunicazione globale. Adesso, mentre tutto il mondo cerca soluzioni per fare riprendere la circolazione del sangue nel corpo irrigidito del capitalismo tardomoderno, qui da noi Berlusconi ha lanciato un progetto di sostanziale liberalizzazione dell’edilizia, basato sul principio di buon senso antico secondo cui «quando va bene l’edilizia va bene anche tutto il resto». Se si tratti di un provvedimento salutare lo diranno gli economisti, e se si tratti di un rischio di totale cementificazione del Paese lo chiariranno gli ambientalisti e i tecnici. Nel frattempo però non può sfuggire l’idea che siamo in presenza di una vera e propria invenzione estemporanea: di quelle idee che si formulano di solito nei bar, dove c’è sempre qualcuno che possiede la formula per risolvere problemi estremamente complessi con soluzioni infinitamente semplici. Semplici sono le soluzioni di Berlusconi, le formule della Gelmini, le ricette di Brunetta. È probabile che non ne funzionerà neanche una, così come non ha funzionato l’invenzione paternalistica della social card, fallita in una serie di traversie tecniche e demografiche. Ma nello stesso tempo si ha l’impressione che proprio la sostanziale mediocrità operativa del governo e dei ministri risulti ben accetta a una parte consistente dell’opinione pubblica. Il governo usa infatti la tecnica manzoniana del "troncare e sopire", addormenta i conflitti, li orienta verso obiettivi facilmente identificabili come la Cgil, rassicura a parole e con il controllo sempre più stretto della televisione. Trasmette un messaggio che dice: «Va tutto quasi bene». Il governo lavora, progetta riforme straordinarie, «e grazie alla deflazione gli italiani hanno nel portafogli qualche euro in più». Poi la crisi diventerà più acuta, le riforme straordinarie risulteranno un papocchio, e la crisi si farà sentire di brutto. Ma a meno di catastrofi sociali non augurabili, il consenso non ne risentirà, perché a Berlusconi è riuscita l’operazione di accorpare intorno al Pdl la vecchia Italia corporativa, che non desidera cambiamenti e anzi li teme. Per scalzare il consenso del blocco berlusconiano ci vuole una fantasia e una forza politica che il Pd non ha. Detto con parole più ottimistiche: non ha ancora. Ma per risultare minimamente competitivo, il Pd deve formulare un progetto semplice e moderno, capace di mobilitare il consenso dei propri elettori (anche dei delusi, i senza patria, gli esuli, come li ha chiamati Ilvo Diamanti su "Repubblica") e di parlare a tutto il Paese. Se il centrosinistra non riesce a offrire un’idea alternativa di società, e un’idea convincente, Berlusconi vincerà sempre a mani basse. Perché a sinistra si è sempre scommesso sull’esistenza possibile di un’Italia migliore. Mentre ogni giorno che passa Berlusconi dice agli italiani: «Lo vedete, sono uno di voi».
19/03/2009