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Quei secondi Fini

19/02/2009

Si può ricorrere al concetto della "grazia di Stato", che consente di assumere quasi per prodigio la dignità richiesta dalla funzione istituzionale esercitata. Detto in modo più semplice: la funzione crea l’organo. Questo darwinismo popolare viene buono per provare a decifrare l’azione di Gianfranco Fini, professione presidente della Camera. Dov’è finito il truce postmissino che sbrigativamente si dichiarava contrario al «maestro gay dichiarato»? A mettere in fila le dichiarazioni "sensibili" del capo di Alleanza nazionale si riempirebbe, in bella grafia, un foglio protocollo di carta bollata: al termine del quale, esaminati gli atti di filosemitismo, di «leggi razziali, male assoluto», di voto agli immigrati, di voto in dissenso sulla fecondazione assistita, e qui in ultimo di presa di distanza dal forcing berlusconiano contro il Quirinale, in occasione del caso Englaro, il giudizio sarebbe semplice: promosso, con lode e con sorpresa, a capo della destra "repubblicana". Mettiamoci anche il sarkozismo ludico, la compagna giovane, uno stile di vita che lo differenzia dalla vecchia destra piagnona o beghina, conformista o autoritaria. Ma, sul lato politico, a che cosa punta Gianfranco Fini? Vale a dire: oltre alla funzione, all’organo e a Darwin, c’è qualcos’altro? Possiede un "intelligent design", una strategia, oppure sfoggia come al solito la sua unica vera dote, una versatilità scettica in cui la politica è solo l’arte del possibile? Il primo punto è: sopravvivere. Resistere all’usura che la presidenza della Camera inevitabilmente produce, a causa delle ritualità parlamentari, delle cerimonie, delle inaugurazioni. Tenere in vita un’idea di An che possa differenziarsi, all’interno del Pdl, conservando una fisionomia gratificante per il vecchio partito. E naturalmente pensare alla propria carriera politica. Perché a 57 anni Fini appartiene a una generazione (quella dei D’Alema, dei Bersani, del più anziano Tremonti) che a ogni compleanno di Berlusconi vede restringersi l’orizzonte potenziale. Si tratta di ex giovani che hanno davanti a sé una corsa sola e dunque non possono sbagliarla. Il presidente della Camera porta nel suo zaino anche le insegne di delfino del Cavaliere, come leader del Pdl e premier eventuale: tuttavia, di fronte a un mondo dominato dall’economia anche a crisi finita, risulterà tecnicamente credibile, il "politicus purus" Fini, a succedere a Berlusconi alla guida del Pdl e di un governo futuro? Forse è meglio perlustrare anche altre ipotesi. Il "laico" Fini, il Fini "istituzionale", in asse con il Colle, potrebbe essere il protagonista delle grandi coalizioni, nel caso la recessione facesse emergere la necessità di governi di tenuta nazionale. E sullo sfondo potrebbe presentarsi come candidato per il Quirinale, nel caso che Berlusconi incontrasse al centro e a sinistra ostacoli troppo forti. In ogni caso, gli conviene astrarsi dalla politica quotidiana, lanciare messaggi generali. Solo così può essere l’uomo di tutte le alternative a Silvio.

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