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Fronte del nord

28/01/2009

Abbiamo davanti due tornate elettorali impegnative, in cui dobbiamo essere credibili, facendo sentire la forza di un programma alternativo alla destra e, al Nord, soprattutto alla Lega. Questo è il punto. Il resto sono sceneggiate… Pier Luigi Bersani, ministro ombra del Pd per l’economia, e probabile risorsa ombra nel caso di terremoti al vertice, è reduce da un incontro a Modena, dove ha verificato le inquietudini di un tessuto economico che sembrava immune alle crisi. «Il primo comandamento è: prendere sul serio la realtà». Già, il clima è plumbeo anche nella ricca Emilia dei distretti. Cassa integrazione. Sguardi preoccupati sul 2009. Bersani, riesce a dire qualcosa il Pd a queste realtà, in tempi così difficili? «Al Nord dobbiamo comportarci sapendo che il nostro contendente è il leghismo. Un movimento dentro la società che noi non possiamo permetterci di snobbare, anche se al leghismo siamo alternativi. Dobbiamo dire: la Lega parla spesso di cose giuste, ma ancora più spesso in un modo sbagliato». Sbaglio o sento odore di Partito del Nord? «No. Noi dobbiamo essere capaci di parlare di Nord, di autonomie, di territorio, senza complessi. "Nord" è una parola che contiene molti significati. È geografia ma è anche la metafora dell’Italia dei ceti più dinamici, moderni e produttivi». A sinistra questi ceti vengono evocati spesso, ma poi votano dall’altra parte. «Sì, ma adesso la propaganda è finita e anche la destra deve misurarsi con le cose. Nel caso specifico, a me sembra chiaro che il leghismo non ce la fa ad accendere il motore del Nord. La Lega è una specie di sindacato del Nord; se guardiamo ai risultati, dopo molti annunci questa politica porta a casa poco o niente». Sullo sfondo c’è la bandiera del federalismo. «Ma intanto, nella realtà vera, e per i ceti che dichiara di rappresentare, le piccole imprese e il lavoro, la Lega produce risultati zero. Niente nelle infrastrutture, niente sull’occupazione. E sui grandi aspetti anche simbolici, come Malpensa e l’Expo, ci sono stati addirittura effetti boomerang. Oltretutto, c’è una questione di coerenza: vogliamo dirlo che Malpensa campava anche sulle rotte in deficit di Alitalia? Altro che mercato, quella è assistenza. Se ne può fare a meno». Eppure la Lega è altissima nei consensi. «Ma a un certo punto Bossi, Maroni e tutti gli altri dovranno anche spiegare l’irrazionalità delle scelte, specialmente verso le amministrazioni locali: per dire, hanno cancellato l’unica forma di tassazione "federalista", l’Ici, con la conseguenza che i comuni si trovano in una situazione finanziaria di sofferenza grave». Se è per questo, la crisi incombe su tutto il paese, non soltanto sul Nord. «Fra i compiti di un’opposizione adeguata al suo ruolo, c’è anche quello di mettere allo scoperto l’insufficienza del governo». Vuole dire che finora il Pd non ha fatto opposizione? «Voglio dire che ogni giorno che passa si assiste all’aggravarsi dei problemi e all’inadeguatezza della destra. Innanzitutto ci vuole una diagnosi specifica sui punti di tensione. La crisi investe le piccole imprese, nel loro rapporto con il credito. Implica una ridefinizione strutturale degli ammortizzatori sociali. Chiede misure a sostegno di due ambiti sociali, come sostegno al reddito delle famiglie, e a favore dei giovani precari. Pretende azioni dal lato delle politiche industriali». Quindi il governo non ha neppure capito l’entità della crisi. «Perlomeno sembra che non abbia capito che coloro che lavorano e che producono sono totalmente esposti all’ondata della recessione. Sono settimane che vedo interviste oniriche di Giulio Tremonti, in cui parla di imperatori romani o di entità metafisiche, e intanto, sul credito alle imprese non si fa nulla, il peso fiscale si accresce, sugli ammortizzatori sociali si è sostanzialmente al palo, e così via». Il governo ha annunciato investimenti pubblici per ottanta miliardi. «Tremonti spara cifre e miliardi che poi all’atto pratico non si vedono. Noi abbiamo una proposta chiara: spostare risorse sui cantieri locali, da spendere subito, senza attendere i tempi biblici delle grandi infrastrutture. Spostiamo opere alle autonomie rendendole operative entro 24 mesi». Ma la crisi non si supera con un paio di rotatorie. «Intendiamoci: dobbiamo sapere con chiarezza quanto è profonda e duratura la crisi. Se dura un anno, c’è solo da resistere. Bisogna mettere alcuni miliardi sugli ammortizzatori sociali, aiutare le imprese che innovano a investire, anche con defiscalizzazioni mirate, e dire alle banche che l’imperativo è pensare a salvare tutti, non solo le banche. Intanto però sarebbe il caso di fare qualcosa, cominciando dal territorio». Secondo lei su questi temi la Lega è il grande assente. «La Lega parla di liberalizzazioni e poi non vota i nostri emendamenti. Anche sul provvedimento anti-Roma, ossia sullo sforamento del patto di stabilità comunale, ha votato il nostro ordine del giorno, ma non il relativo emendamento. Sono furbizie che alla fine mostrano la corda. Per adesso la Lega scarica la frustrazione prendendosela, invece che con Berlusconi, con i poveracci, vedi la tassa sul permesso di soggiorno, mentre clandestini e sbarchi aumentano. Quando si accorgerà che il pifferaio-miliardario li sta portando in giro, con il suo piffero, sarà troppo tardi». Il fatto è che il Pd non sembra un’alternativa realistica alla destra, al Nord. «Noi dobbiamo pensare a un radicamento territoriale esplicito, alla crescita delle autonomie, alla selezione di una classe dirigente capace di affrontare le prove dell’economia e dire parole pronunciabili sia al Nord sia al Sud. Non illudiamoci di affrontare questi temi col tatticismo, perché un partito leninista come la Lega sul terreno dei tatticismi ci porterebbe a spasso». Niente balletti con Bossi. «Dobbiamo affrontare la Lega con rispetto e in campo aperto. Per rafforzare un’altra idea di Nord. Un Nord capace innanzitutto di interpretare questa fase della crisi, con un’attenzione fortissima alla produzione e alla manifattura, le caratteristiche del nostro apparato economico». Sono nate preoccupazioni gravi sulla tenuta dei distretti. «La crisi è grave perché non ci sono settori o sistemi o paesi anticiclici. Tutta l’economia sembra un treno che va rallentando in aperta campagna. Quando finalmente ripartirà, vincerà chi avrà mantenuto il vantaggio relativo». Cioè chi si sarà reso più efficiente. «Per questo ci vuole un progetto complessivo. Lo Stato e le banche devono spingere su imprese efficienti e innovative, concentrando le risorse. Poi ci vuole un patto fiscale, che al momento il governo sta praticando in modo perverso: anziché abbassare le aliquote ha allentato i controlli, mentre al lavoro dipendente non ha restituito nemmeno il fiscal drag». Non dica che le tasse sono bellissime. Ci siamo già giocati un governo. «Noi proponiamo uno scambio, fedeltà fiscale contro abbassamento delle aliquote. In cinque anni, raggiungere il tasso di fedeltà fiscale medio europeo, cominciando di anno in anno a ridurre le aliquote». C’è anche tutto il settore pubblico da rimettere in efficienza. «Sì, ma non con il brunettismo. Non bastano le misure mediatiche. Ci vuole una sorta di piano industriale per la pubblica amministrazione, una riconversione in base ai compiti nuovi che deve affrontare». Scusi, Bersani, perché queste cose non le avete dette in campagna elettorale? «Forse abbiamo lasciato circolare l’idea che il riformismo lo abbiamo solo davanti, nel futuro. E invece le nostre culture, quella socialista, quella cattolica popolare, la cultura dell’autonomia, del territorio, hanno una storia alle spalle. C’è un secolo e mezzo di abitudine a trattare i problemi locali, e a trasferire le soluzioni dell’autorganizzazione sociale alle politiche pubbliche. Le aree artigiane e gli asili nido li abbiamo inventati noi. E sempre pensando in modo universalistico: tutti al mondo ne hanno diritto, ma se non te lo fai da te, nessuno ti regala niente». Bersani, non nascondiamoci dietro un dito. Questa è una candidatura alla guida del Pd. «Abbia pazienza. Noi dobbiamo avere un obiettivo, la riorganizzazione del partito sul territorio. Se riprendiamo con le discussioni sulla leadership cominciamo dal tetto. Il leaderismo è una forzatura. Mentre sembra semplificare i problemi, li complica. Le persone escono dal confronto sul progetto, non il contrario». Non le piace neanche il Partito del Nord. «Ma quale partito? Prima di parlare di geografia dobbiamo dire meglio che intendiamo con la parola partito. Ad esempio, voglio un partito che prenda le mosse dalle esperienze locali e poi vada a rappresentarle a Roma, e non un partito dove ognuno parli stando a casa sua». In sostanza lei dice: sulla crisi ci vuole un messaggio da parte del governo che non è venuto. «C’è un mutismo assordante. Tremonti e Berlusconi rappresentano chi pensa di poter acquattarsi dietro la crisi. Altro che acquattarsi: bisogna dire che è in gioco la consistenza industriale del Paese». Quindi? «Subito un tavolo di crisi. Con regioni, enti locali, imprese, banche, sindacato». E voi che fate? «Noi cominciamo a dire le cose come stanno. Nella realtà, cercando di rappresentare non chi si acquatta, ma chi sta sul fronte».

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