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Vi canto la musica ribelle

15/01/2009

Di quanti riti di passaggio ha bisogno un ragazzo per transitare finalmente all’età adulta? Non come persona, ma come artista, ovvio. Luca Carboni, che da ragazzo cantava e sussurrava cose angeliche, adesso ha più o meno 46 anni, casa nel centro di Bologna, a poche centinaia di metri da Piazza Maggiore, e sta provando a entrare nella maturità, condizione complicata per qualsiasi musicista dotato di naturale intelligenza: perché non si può andare avanti tutta la vita a bamboleggiare, sui fiori in bocca e i neoromanticismi, ma nello stesso tempo come si fa a non scontentare il pubblico delle farfalline e dei fiorellini, «ho bisogno d’affetto!», pubblico che ha sentito un brivido nella schiena con l’ultimo disco, "Le band si sciolgono", titolo pessimista, così malinconico («Il fatto è che io mi sono sempre sentito il musicista di un gruppo, e quando le band si dividono sento un dolore particolare»). E allora il ragazzo Luca, quarto di cinque figli, genitori un po’ all’antica, sfollati in città durante la guerra, «più cristiani che demo», tifoso di basket cresciuto vicinissimo al Paladozza della Fortitudo, adesso che ha una compagna ormai storica, Marina, e un bimbo di nove anni, Samuele, per trovare la sua nuova strada si è inoltrato nell’intrico degli anni Settanta, realizzando un disco di cover di cantautori d’epoca, intitolato inevitabilmente "Musiche ribelli". Eccoli in parata: Francesco De Gregori, Edoardo Bennato, Pierangelo Bertoli, Lucio Dalla, Eugenio Finardi, Franco Battiato, fino a "Vincenzina e la fabbrica" di Enzo Jannacci e all’"Avvelenata", l’invettiva colta di Francesco Guccini. Un album anticipato via radio dalla canzone più impenetrabile ed emblematica, "Ho visto anche degli zingari felici" di Claudio Lolli, cantata in duo con il musicista scelto per produrre il disco, Riccardo Sinigallia (che ha alle spalle le collaborazioni con Tiro Mancino, Niccolò Fabi, Max Gazzè, oltre a una sua produzione tanto sofisticata da classificarsi deliberatamente elitaria). Alle spalle qualche milione di dischi venduti, una storica tournée con Jovanotti, la ricerca tenace di una semplicità espressiva che vada sempre più vicina alle cose, al quotidiano dei rapporti fra le persone. Le ragazze, le "persone silenziose" della vita di ogni giorno. Ma allora perché proprio gli anni Settanta, un’epoca incasinata quant’altre mai? «Allora suonavo il piano e li ascoltavo, i cantautori. Sono nato musicalmente negli anni Ottanta, quando c’era voglia di stringere l’obiettivo, rovesciando il discorso per portarlo dal generale al dettaglio, dalla politica all’intimità, dal sociale al privato». Eppure c’è voluto un certo coraggio culturale a portare di nuovo in giro la canzone di Claudio Lolli, forse il cantautore più irriducibile della nostra storia musicale, e senz’altro il meno commerciale: «Eppure a me quella canzone suona attuale, perché contiene una dimensione sociale, "riprendiamoci la vita e la speranza", ma su un altro versante c’è anche la felicità del nomadismo, una dimensione romantica di libertà. E di questi tempi, citare gli zingari…». Chiaro. «Ho voluto raccogliere quelli che allora erano segnali di disturbo». Carboni ci ha costruito sopra un video, in cui ci si imbatte proprio in Lolli, in Piazza Maggiore. E Carboni è orgoglioso di questo revival "sociale", che comprende oltre alla struggente "Vincenzina e la fabbrica" di Jannacci, e l’ironica "Venderò" di Bennato, «ancora modernissima, perché racconta il nostro stare sul mercato, e i dilemmi conseguenti». Anche la "Musica ribelle" di Finardi, «un musicista che allora sembrava meno intellettuale», rivela ora una grande forza: «in certi momenti diventa un messaggio, un aiuto». «E poi», dice Luca nell’ottimo italiano di uno che ha frequentato le scuole fino ad agraria, «questo disco è l’occasione per riascoltare canzoni che non si sentono più, ed è bello riportarle alla luce, come "L’avvelenata" e "Eppure soffia" di Bertoli, che già allora metteva insieme politica e questione ambientale, con quella rabbia che è la cifra di quel decennio». Anche se poi ci sono le delikatessen del primo De Gregori ("Raggio di sole" e "La casa di Hilde", storia di contrabbandieri in una cornice romanzesca e crepuscolare, in un linguaggio molto letterario: «Mi ricorda John Fante»). E non manca la marmellata "post" della canzone ponte fra il cantautorato dei Settanta e la musica degli Ottanta, cioè "Up Patriots to Arms" di Battiato: «Alla riscossa stupidi che i fiumi sono in piena, potete stare a galla…». Giuseppe De Rita ha sempre sostenuto che gli anni dall’autunno caldo al sequestro di Aldo Moro sono stati gli anni della crisi nella politica ma del fervore nella società. Quindi ecco un tuffo nella creatività di trent’anni fa. Forse il segno che per provare a capirci qualcosa, anche nella musica, bisogna guardare all’indietro. Come l’Angelus Novus di Paul Klee e di Walter Benjamin: «Non esageriamo, io ho fatto agraria». n

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