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Di nome Giovanni, come quel papa

30/08/2001

L’apparizione dei vecchi saggi È uno dei prodigi ricorrenti che illuminano la gravità della crisi di un partito. Sono segnali medievali, quando i secoli bui venivano rischiarati dalle chimere. Nei Ds, la candidatura di Giovanni Berlinguer alla guida della mozione anti-dalemiana non sfugge a questa ascendenza mitologica. Una figura di secondo piano, depositaria di sapienze fuori moda, viene evocata da un composito gruppo di soci, il "correntone", che mette insieme esponenti della sinistra e veltroniani, uniti soprattutto dalla complicità nel «ciò che non siamo, ciò che non vogliamo». Il ciò che non vogliamo, è ovvio, riguarda un segretario come Piero Fassino, troppo oscurato, e forse condizionato, dall’ombra di Massimo D’Alema. Progetto confuso? Peggio, secondo uno dei liberal della Quercia, il senatore Claudio Petruccioli, il quale non ha mancato di segnalare a "l’Unità" come l’operazione Berlinguer sia deprimente: «un modo, in una situazione in cui non sanno bene cosa fare, per candidare il cognome». Il che liquiderebbe le sovrastrutture dialettiche con cui dirigenti come Cofferati, Bassolino, Salvi, Mussi e tutti gli altri del correntone hanno impostato la loro azione in vista del congresso di novembre. Osservata invece a freddo, l’iniziativa della mozione guidata (di fatto, se non di diritto) da Sergio Cofferati risulta particolarmente utile a tutti i contendenti. Al correntone di centro-sinistra permette infatti di schierarsi contro Fassino senza che nessuno dei leader antidalemiani si impegni in prima persona rischiando una sconfitta distruttiva: e quindi consente eventualmente di perdere il congresso senza perdere la faccia. Alla mozione Fassino dovrebbe invece permettere di eleggere un segretario dotato di tutti i crismi, dopo un confronto interno che abbia una parvenza di credibilità competitiva, dissolvendo quindi i sospetti di democrazia teleguidata e di un partito retto dal solito burattinaio. In questo senso la candidatura di Giovanni Berlinguer è perfetta per gestire la situazione senza toccare il problema. Perché dopo le elezioni di maggio i Ds sono in zona disintegrazione. Il partito non ha un punto di vista su nessuno dei temi critici: non sul problema del rapporto partito/coalizione; non sulla scelta in chiave di identità politico-culturale; non sulle relazioni con il movimento no global; non sulle politiche di mercato, se è vero che l’ala dei Morando, Debenedetti e Salvati non disdegna la flessibilità in uscita predicata da Fazio. Di fronte a una situazione così seria, chissà che non venga in mente a qualcuno fra i ds, un po’ per gioco, per esorcismo o per disperazione, che il ricorso a Giovanni Berlinguer potrebbe essere significativo non tanto per il cognome, quanto per il nome. Non sarebbe la prima volta che una chiesa in difficoltà fa ricorso a un vecchio cardinale per arrangiare la transizione, salvo ritrovarsi fra i piedi una mezza rivoluzione. Che poi l’estrema risorsa degli ex comunisti si chiami Giovanni, è un’altra delle finali ironie della storia.

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