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Dietro gli avvocati…

12/07/2001

Il ministro della giustizia Roberto Castelli ha recuperato Montesquieu per sfumare le polemiche di Gaetano Pecorella e Carlo Taormina contro le sentenze su Piazza Fontana e sul giudice Carnevale. Tuttavia sarebbe minimalistico ridurre la questione a un conflitto d’interessi di marca professionale. È vero che il sottosegretario agli Interni Taormina ha difeso a Milano il neofascista Maggi, e il presidente della commissione Giustizia Pecorella, avvocato di Berlusconi, è stato il difensore di Delfo Zorzi. Ma ridurre i loro giudizi («Storia riscritta con la penna rossa» il verdetto su Carnevale, «Una sentenza politica» gli ergastoli per Piazza Fontana) a un conflitto deontologico è l’indizio di una sottovalutazione. Quindi fa bene il ministro Castelli a rievocare i canoni del costituzionalismo, ma farebbe ancora meglio a capire che gli attacchi di Taormina, Pecorella & c. non sono un semplice revanscismo corporativo. Malgrado l’ascesa a responsabilità di governo e istituzionali, l’ala militante "antigiustizialista" di Forza Italia e alleati sta mostrando infatti l’intenzione di proseguire la sua campagna, ideologica e sul campo. Non è bastato il successo politico, e quindi la possibilità di reimpostare il rapporto fra politica e giustizia. Di per sé, il fondamentalismo avvocatesco di Pecorella e Taormina è il proseguimento della campagna elettorale con altri mezzi: che però diviene lo strumento per tenere sotto pressione la magistratura. Per aiutare il ministro Castelli a inquadrare la situazione, bisognerebbe consigliargli di tenere presente che se ai tempi di Tangentopoli veniva criticato il partito dei giudici, oggi non può piacere il partito degli avvocati. E che se tutto si risolve con un gioco delle parti, con il guardasigilli che chiede pensosamente una "riflessione" dentro il governo per rimediare agli sbreghi, la trama della commedia appare logora fin dalla prima.

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