Al Quirinale sanno che Carlo Azeglio Ciampi è in attesa di pagare una cambiale. Con Silvio Berlusconi vincitore, il centrodestra si presenterà sul Colle sventolando il pagherò risalente all’elezione "bipartisan". Messaggio: se i voti del Polo erano graditi per eleggere il capo dello Stato, ora nessuno si faccia venire dubbi. Mandato pieno al Cavaliere, niente facce meste o tutele. Non sono più i tempi in cui Scalfaro poteva prendersi il ruolo di garante. Il Polo ha sempre magnificato l’imparzialità di Ciampi proprio per poter contare al momento buono sul suo via libera. E quando forzisti disinibiti come Giulio Tremonti hanno messo in dubbio la sua neutralità, hanno dato l’idea di tirarlo per la manica affinché non dimentichi che il suo incarico non viene da Marte. Già sarebbe umanamente fastidioso per il Presidente, ex ministro dell’Ulivo, assistere al giuramento di quegli esponenti di Forza Italia che non gli risparmiarono sarcasmi sul risanamento dei conti. Ma l’inquietudine maggiore è quella del presidente "azionista" che si trovasse a consegnare il potere a una maggioranza postfascista e postresistenziale. Un governo Berlusconi potrebbe implicare infatti che le vecchie convenzioni repubblicane sono fondi di magazzino. Per questo Ciampi sottolinea il 25 aprile come simbolo, la Liberazione come rinascita e l’antifascismo come patriottismo. Prova a conservare una cornice, nella speranza che anche la Casa delle libertà accetti uno scambio: semaforo verde al governo contro il rispetto dello statuto pubblico su cui si è fondata la democrazia italiana. Che Berlusconi governi, è un esito della storia. Mentre il ribaltamento della storia, possibile premessa di forti di-scontinuità costituzionali, sarebbe una lacerazione tale da mettere a rischio, insieme alla prima parte della Carta, anche il ruolo di un presidente bipartisan chiamato Ciampi. NON CI POSSO CREDERE Milan Club, chi era costui? IL PANEBIANCO ADDORMENTATO. «Un brutto esempio di demonizzazione dell’avversario». Angelo Panebianco condanna Norberto Bobbio, reo di aver scritto «è necessario battere col voto il cosiddetto Polo delle Libertà» perché «è in gioco la democrazia». ("Corriere della Sera", 11 marzo). Il politologo invece giura che «la democrazia non è in gioco». Ma dov’era quando, il 9 marzo, è stato Silvio Berlusconi a demonizzare l’Ulivo, asserendo che il 13 maggio si voterà per «ristabilire la democrazia ferita»? Evidentemente non c’era, o se c’era dormiva. IL GALLIANI SCARICATO. «Da quando mi sono disimpegnato dalle vicende del Milan, mi considero il presidente onorario». All’indomani della sconfitta con la Galatasaray, Berlusconi avverte che lui con la crisi dei rossoneri non c’entra. Siamo alle solite: già il 20 gennaio Giorgio Tosatti notava che «Berlusconi non fa onore alla propria immagine accollando a Giuliani tutte le responsabilità , dando la sensazione di chiamarsi fuori perché le cose vanno maluccio». Gli elettori sono avvisati. Se affideranno al Cavaliere la nave Italia, in caso di avaria il comandante sarà il primo a svignarsela. IL CIELLINO STRALUNATO. «Siamo a Torquemada!». Giorgio Vittadini, presidente della Compagnia delle Opere, inveisce contro i magistrati che indagano sul braccio affaristico di Comunione e Liberazione. Strano insulto, sulla sua bocca di credente e di anticomunista. Il mitico capo della Santa inquisizione, che si sappia, figura nell’album di famiglia non degli stalinisti, bensì dei cattolici. IL D’ALEMA SMEMORATO. «Modello francese, modello tedesco? Io avrei preferito il primo approdo, quello a cui giunse la Bicamerale». Parola di Massimo D’Alema. Mah. In realtà la forma di governo alla francese fu scelta dalla defunta commissione soltanto perché così volle, a sorpresa, Umberto Bossi. D’Alema vagheggiava invece il premierato forte, una buffa ricetta made in Italy caduta (per fortuna) nel dimenticatoio.
22/03/2001