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Martini o Ruini ormai pari sono

08/02/2001

Il cardinale, ha detto qualcosa il cardinale? La sinistra smarrita attende la parola di un principe della Chiesa. La destra che aspetta il trionfo giura ortodossia. Dietro il profilo imponente di Wojtyla, sono due le figure che si stagliano politicamente nella Chiesa: Camillo Ruini e Carlo Maria Martini. Al presidente della Cei si attribuisce il ruolo di capofila dei "neointransigenti", mentre il presule di Milano è stato visto a lungo come il punto di riferimento dei "conciliatori". Traduzione: Ruini è il vessillifero di una Chiesa che non vuole più compromessi e rapporti politici preferenziali. Martini invece è sempre stato visto come l’esponente illuminato dell’episcopato: un uomo abituato a collocare il magistero all’interno di un tessuto di valori da confrontare e da condividere con altri settori della società. Destra e sinistra: la distinzione non era infondata. Il presidente della Cei si sarebbe mostrato subito scettico sull’esperienza politica dell’Ulivo, nella convinzione che il movimento di Prodi avrebbe solo fatto da facciata al potere vero, quello post-comunista. Viceversa, al cardinale di Milano avrebbero guardato in trepida attesa coloro che nei suoi discorsi trovavano l’eco costante di una critica radicale al berlusconismo. Ma la Chiesa è un’istituzione troppo complessa per queste semplificazioni. Lo si riscontra nel saggio di Sandro Magister "Chiesa extraparlamentare" (editore L’ancora del mediterraneo, 114 pagine, 18 mila lire, in libreria in questi giorni). Dopo avere ripercorso la vicenda del cattolicesimo politico dalla fine dell’Ottocento al tramonto della Dc, Magister esamina la situazione successiva alla di-sintegrazione del partito cattolico. E dissolve molte illusioni. È vero che esistevano due linee fondamentali. Da un lato la «formidabile coerenza» di Ruini nell’applicare la linea di Giovanni Paolo II, una Chiesa che parla dal pulpito rifiutandosi di stringere legami con i partiti: fino ad apparire più interessata al «campo selvatico dei cattolici senza investitura» raccolti in Forza Italia e guidati dal «clericale agnostico» Berlusconi. Dall’altro, l’insofferenza di Martini verso l’universo berlusconiano. Ma questa semplificazione poteva funzionare finché esisteva il progetto ulivista, che raccoglieva insieme la tradizione del cattolicesimo progressista e l’orrore dossettiano per la «babilonia etica» della destra. Allorché nel ’98 si avverano le previsioni più pessimistiche sul Prodi "strumentalizzato" dal postcomunista D’Alema, le differenze iniziano a sfumare. «I due cardinali», dice Magister, «sono tra loro più vicini di quel che appare». Quella fra Ruini e Martini si rivela alla fine una «concordia discors», in cui gli obiettivi sono condivisi anche se permangono differenze nei metodi. Entrambi guardano alla politica domestica come a un terreno in cui i contratti sono a termine. Niente catechismi di voto, niente più precettistica elettorale. I conti con la politica si fanno momento per momento. Peccato che il centro-sinistra non si sia accorto che tutta la Chiesa sta applicando un solo modello: è il modello Wojtyla, è il modello Ruini, che è anche il modello Martini.

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