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Libri di testo questione di testa

26/12/2002

La questione dei libri di storia "faziosi" è un argomento che all’interno del centrodestra solleva una grande eccitazione. Al punto che viene istintivo considerarla la spia di un atteggiamento più generale: per quale motivo, infatti, dentro la Casa delle libertà qualcuno insorge periodicamente indignandosi per l’impronta di sinistra che certi manuali scolastici manterrebbero, nonostante tutte le "revisioni" dettate dal dibattito storiografico e soprattutto dal mutamento di clima politico-culturale dovuto al successo della linea anticomunista? Il fatto è che il centrodestra ha molte risorse politiche e di potere, ma non possiede una dotazione culturale coerente. Nella Cdl i portatori ufficiali della cultura liberale (i Pera, gli Urbani, i Del Debbio) sono una minoranza schiacciata dal liberalismo fondamentalista di tutti quegli altri che considerano la visione liberale semplicemente come un espediente utile per prendere a bacchettate il centralismo-dirigismo-socialismo-comunismo della sinistra. L’uso strumentale della cultura risulta efficace per mascherare eventuali deficit. Come si è visto in passato, richiesto di quali sarebbero gli intellettuali esclusi dal giro, un uomo come Maurizio Gasparri non ha avuto esitazioni, dopo qualche considerazione sugli uomini non allineati, a fare il nome di Mogol. Per ora in effetti lo sforzo più intenso esercitato dai settori più robusti e animosi della destra è consistito nell’occupare con estrema determinazione le postazioni considerate strategiche, e la Rai ovviamente rappresenta il cuore della possibile egemonia politico-culturale del paese. A patto di sapere a che cosa serve l’eventuale egemonia. Uno storico prestigioso, e culturalmente spregiudicato, come Massimo L. Salvadori ha dichiarato che la destra si prefigge «una guerra civile culturale», a dispetto dei distinguo delle componenti centriste. È un giudizio catastrofico, che tuttavia coglie un aspetto cruciale. Perché in questo momento il centrodestra non sembra interessato a presentare un proprio modello culturale, quanto ad attaccare ogni posizione che a suo avviso sia colpevole di complicità con filosofie di sinistra. Pur avendo vinto le elezioni, e godendo di un governo garantito da un’amplissima maggioranza parlamentare, larghi settori della Casa delle libertà si comportano in campo culturale come se si trovassero ancora all’opposizione, e avvertissero la necessità di smantellare i capisaldi del predominio della sinistra. Se ciò avvenisse attraverso la proposta di riferimenti intellettuali, non ci sarebbe niente di male. Sarebbe anzi interessante se i vari spezzoni del centrodestra trovassero una piattaforma comune, riuscendo a fondere le loro contraddittorie ispirazioni in un modello comune. Ma per ora si assiste soltanto alle dichiarazioni di una cultura dell’ostilità, accomunata più che altro dal desiderio di denunciare i vizi ideologici, veri o presunti, della cultura di sinistra. Proprio questo atteggiamento è un segnale rivelatore del fatto che la Casa delle libertà avrà forse ricomposto un blocco sociale, ma non è riuscita a fissare un blocco culturale, cioè le coordinate di un pensiero politico condiviso. È il vero segno della debolezza intrinseca al centrodestra: una fragilità che viene supplita dal piglio polemico di cattolici conservatori come Antonio Socci, o dal riemergere provocatorio di minoranze intellettuali di destra estrema, ma che non sa esprimersi come messaggio corale, proponibile nel suo insieme alla società italiana. È un fatto che gli intellettuali berlusconiani più esposti, da Giuliano Ferrara a Ferdinando Adornato, costituiscono una pattuglia in prestito alla destra. Sono nati altrove, e hanno trovato una chance anche grazie allo scarso affollamento. Vari esponenti del "partito dei professori" arruolato a suo tempo da Forza Italia, da Giorgio Rebuffa a Saverio Vertone, hanno preso il mare per altre spiagge. Forse, anziché di iniziative shocking, la destra avrebbe bisogno di un laboratorio culturale, per uscire dalla polemica stridula e cominciare a pensare in primo luogo a se stessa.

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