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L’eretico Cardini

03/10/2002

Anarchico di destra, cattolico tradizionalista, qualche ispirazione socialisteggiante: e in Spagna l’hanno accusato perfino di pensiero "falangista" per qualche idea controcorrente sulle corride e il destino dei tori. In ogni caso, è l’esponente di una destra imprendibile, non omologabile. Franco Cardini non è soltanto un professore di storia medievale a Firenze: è in primo luogo lo studioso che nel 1981 lasciò allibita la categoria degli storici con un libro, "Alle radici della cavalleria medievale", una prova di insolito spessore letterario, che contaminava archeologia, antropologia, storia della spiritualità. In seguito, una produzione senza argini: esattamente quella di un "intellettuale disorganico" (come recita il titolo del suo ultimo libro, appena pubblicato da Aragno), in cui fa i conti con la sua biografia e l’esperienza di storico. Ma lo scandalo, in questi giorni, è costituito da un libro edito da Laterza, "La paura e l’arroganza", che Cardini ha curato e prefato, e ha immediatamente suscitato reazioni innervosite. Fin dal titolo, perché è evidente la ritorsione intellettuale contro "La rabbia e l’orgoglio" di Oriana Fallaci. E poi, la presenza nell’indice di autori come Marco Tarchi e Alain De Benoist, ma anche Eric Hobsbawm e Noam Chomsky, la "nouvelle droite" coalizzata con la vecchia sinistra contro l’impero americano violato dal terrorismo islamista. Logico che Pierluigi Battista lo abbia messo nel mirino più di una volta, per chiedere a che gioco si gioca, e che un vecchio amico come Massimo Teodori lo citi accusandolo di antiamericanismo. In giro per l’Italia, notevoli dibattiti, a Firenze con Giovanni Sartori, a Roma con il medesimo Battista e Valentino Parlato, a Napoli con Giacomo Marramao. Le discussioni non finiscono. In parte per ragioni politiche, dato che il presidente del Consiglio fa l’americano. Ma anche perché nel libro figurano espressioni spettacolari del radicalismo "anti-imperiale". De Benoist parla in questo modo dell’attentato alle Torri gemelle: «Avevamo già visto New York distrutta dieci volte nei film del filone catastrofico prodotti a Hollywood. L’11 settembre non si trattava di cinema, eppure gli assomigliava». Sintesi: «Lo spettacolo del terrorismo si sostituiva al terrorismo dello spettacolo». Provocatorio, no? Dice Cardini: «Ho cercato di essere il più intellettualmente onesto possibile nell’introduzione. Perché lo scopo del libro era di dare voce al mosaico di coloro che obiettano. Sono pensieri che nei mass media circolano poco ma nelle opinioni pubbliche si avvertono». L’accusa verso posizioni di questo tipo è che si tratti di pacifismo a senso unico. «In realtà», commenta Cardini, «il pensiero a senso unico è quello delle soluzioni militari come la sola via da percorrere. Senza accorgersi che così si sbaglia strada, la ricerca della sicurezza genera insicurezza, dato che all’opzione bellica seguirà la risposta della guerra asimmetrica, in un crescendo potenzialmente micidiale». Eppure il nostro paese sembra ormai schierato senza obiezioni con la scelta americana: «Certo, se guardiamo alle posizioni assunte da Berlusconi viene da dire che sarebbe meglio essere più cauti. Credo che nel confronto con gli Stati Uniti occorre sempre pensare alla realtà dell’Europa, cioè a un’istituzione come l’Unione europea, imperfetta ma esistente. Per questo ho molto apprezzato invece la posizione assunta da Prodi». Oltre alle questioni di politica internazionale l’obiezione di Cardini è culturale. Non accetta la demonizzazione dell’Islam, guarda alla storia come a una lunga durata di contaminazioni culturali e di contiguità antropologiche. «Sarebbe bene anche pensare alla peculiarità geografica dell’Italia, alla sua posizione strategica. Guardare a un ruolo europeo significa anche contemplare una concezione "mediterranea" della politica, che consideri la varietà di culture in quest’area. La presenza dell’Italia nel Mediterraneo, come significativa articolazione europea, come portatrice di apertura e non di chiusure, è oltretutto la prosecuzione di una funzione storica che per me ha un chiaro e affascinante richiamo braudeliano: il Mare Nostrum come bacino di civiltà in cambiamento». In conclusione, è lecito non dirsi americani? «È ragionevole dire che non siamo né filo né antiamericani. Dobbiamo giudicare i comportamenti, sfuggire alla trappola di chi vede solo l’antiamericanismo. Vede, questo libro è stato ideato e voluto dall’associazione per il dialogo interculturale e interreligioso Dia-Légein: è anche figlio della Firenze di La Pira e di padre Balducci: noi siamo orfani di queste figure. Anche un cattolico di destra come me sente ancora l’eco umana e intellettuale della loro voce. Di un’apertura, di una tensione autenticamente mondiale. Ridurre tutto allo schema dell’antiamericanismo non è né storia né politica: è una barzelletta».

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