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Quercia dura senza paura

23/05/2002

Nessun tabù neanche "di sinistra", figurarsi: «Ricordi quando eravamo comunisti? Grazie, non fummo». Si può essere l’opinion maker più crudele del Paese e nello stesso tempo avere un cuore bambino, nutrire tremori indicibili, rifiutare ogni esposizione pubblica? Si può. Basta essere ellekappa, ossia Laura Pellegrini, ex impiegata ministeriale, storica matita di giornali come "Tango", "Cuore", "l’Unità", "Smemoranda", attuale must de "la Repubblica" e di "Sette", inserto del "Corriere della sera". È in uscita un libro che raccoglie le sue vignette, "Le nostre idee non moriranno quasi mai" (Einaudi, Stile Libero): per qualcun altro, probabilmente, sarebbe stato l’occasione per un road- show. Invece niente. Il volume appare senza una riga di prefazione. Devono parlare, e colpire, soltanto i disegni. Scelta d’autrice, perché apparire è un po’ morire. A libro pubblicato, i due dioscuri di "Stile libero", Paolo Repetti e Severino Cesari, tirano un sospiro. Con ellekappa c’è stato solamente un incontro, nella sede romana di Einaudi. E poi, sembra di capire, molte diplomazie quotidiane. Alla fine, il libro c’è e si apre con un tipico sarcasmo ellekappiano per dissolvere il clima alla Le Pen: «Tirate fuori il razzista che è in voi, e vi sputerà in faccia». Michele Serra, che l’ha avuta come collaboratrice a "Cuore", dopo l’esperienza di "Tango", dice: «Una come Laura, battutista formidabile, prontezza micidiale, stile assassino, avrebbe potuto essere una regina della Roma di sinistra». Lei «preferisce di no». Anche se Sergio Cofferati l’ama svisceratamente «per la verve», e Massimo D’Alema non le ha mai nascosto la sua ammirazione. Sentimento ricambiato da sempre, anche se adesso dal silenzio della sua casa romana ellekappa lascia filtrare suggestioni no global: «Per il futuro della sinistra e del Paese l’unica speranza continua a essere, nonostante tutto, Massimo D’Alema. Anche se a volte mi sento in preoccupante sintonia con la linea Casarini». Detto, in sintesi, con una vignetta: «I miti sono necessari». E allora? «I giovani devono avere delle t-shirt in cui credere». Ma a parte la passione politica per D’Alema, il risentimento per la destra e l’angoscia per l’autodistruttività della sinistra, c’è qualche altro affetto nella sua vita? Un sospiro, prima della risposta: «Le persone a cui voglio più bene sono Altan e Sergio Staino. Li considero proprio come fratelli: di loro e dei loro giudizi mi posso fidare completamente». È diventata la sacerdotessa della sinistra sconfitta, quella che ha visto crollare le certezze. E non solo: «Il dolore più grande della mia vita professionale è stata la chiusura de "l’Unità", soprattutto per il modo in cui è avvenuta». Cioè? «Una brutalità che non avrei mai immaginato». La malattia inesorabile della sinistra si può diagnosticare con una vignetta: «I diesse non sanno che cosa fare». Risposta: «È la cosa che gli riesce meglio». Oppure: «Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?». Stoccata finale: «Ormai a sinistra il confine tra filosofia e Alzheimer è molto incerto». E fuori dalla satira, che dire, che fare? «Credo che l’attuale situazione politica possa essere sintetizzata bene nel concetto espresso da Giancarlo Caselli: l’idea della verità rovesciata, capovolta». Diciamolo con la solita crudeltà. «Punto primo, il controllo sull’operato del premier passa all’opinione pubblica». Punto secondo? «L’opinione pubblica verrà privatizzata».

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