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Il cardinale controcorrente

16/05/2002

Una riflessione non ovvia sulle prospettive dello schieramento antiberlusconiano potrebbe far tesoro delle parole che il cardinale Carlo Maria Martini ha dedicato al lavoro, in occasione del Primo maggio. Per poi metterle a confronto con la retorica di Silvio Berlusconi a proposito del mercato. L’arcivescovo di Milano ha svolto una critica alla "ideologia" del lavoro, inteso come una sfera che tende a occupare ed esaurire nichilisticamente tutti gli ambiti di vita. Il presidente del Consiglio ha dichiarato che «le forze morali, sane e buone del mercato sconfiggeranno le forze conservatrici», cioè quelle che si oppongono alle riforme del centrodestra. L’umanesimo del cardinale costituisce una delle pochissime voci in controtendenza che sia dato di ascoltare oggi, non solo nella chiesa. Forse che anche Martini è un reazionario, rispetto alla vulgata liberista, un conservatore fuori moda? Di sicuro la sua visione è radicalmente diversa rispetto al discorso marcatamente ideologico di Berlusconi. L’ideologia berlusconiana infatti rispecchia un’immagine settecentesca del capitalismo, una nozione classica, smithiana, in cui la logica del mercato pone l’individuo entro una competizione che premia la moralità dell’operare, l’efficienza produttiva e la creatività commerciale. Si dà il caso tuttavia che non siamo nel Settecento di Adam Smith e neanche nel Novecento di Max Weber. Siamo nella realtà postmoderna del caso Enron, del tracollo dell’Argentina, e (con un piccolo sforzo di memoria) anche dell’oligopolio illegale di Tangentopoli. Per questo risulta mitologico l’assunto che la moralità del mercato sia un valore preordinato: è solo il prodotto, difficile, faticoso, approssimato, garantito dal presidio delle regole. Il libero mercato di cui parla Berlusconi è un’astrazione pubblicitaria. Mentre il lavoro su cui riflette il cardinal Martini non è solo una funzione del mercato, un fattore della produzione o una derivata della competitività, bensì un aspetto della personalità umana e una forma dello sviluppo generale di una società. Dietro il glamour accademico e forzista dell’economia flessibile c’è la condizione precaria del lavoro contemporaneo. Cioè l’interinale, il rapporto a termine, la collaborazione non contrattualizzata, l’attività dequalificata trasformata in partita Iva. Tutti strumenti utili ad assicurare l’adattabilità degli apparati produttivi alle esigenze del ciclo, ma drammaticamente inefficaci per consentire agli individui di programmare la loro vita. Fra la moralità enunciata dal Cavaliere e l’etica raccomandata dal cardinale c’è una distanza incolmabile: o meglio, uno spazio che si può colmare soltanto con un programma politico. Che abbia come centro non tanto l’imitazione fiacca del ricettario liberista quanto il perseguimento di un profilo di società desiderabile. Già, un programma di centrosinistra: quell’idea di sviluppo socialmente compatibile che fra risse di coalizione e accecamenti personalistici è sfumata nei ricordi.

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