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Moderati senza voce

04/04/2002

Dopo il rigurgito terrorista e la grande manifestazione romana della Cgil, è in corso il tentativo di schiacciare il sindacato in una posizione extra-istituzionale. Giuliano Ferrara ha accusato Cofferati di avere «celebrato nell’ambiguità e nell’ipocrisia più sfacciata il suo trionfo come imperatore della sinistra dei poeti e dei sogni», e di avere «affrontato con reticenza biforcuta il grande tema del momento: lo scatenamento del terrorismo in un paese segnato da gravi correnti di odio». Il ministro Antonio Martino parla di un potere sindacale tale da minacciare l’ordine costituzionale, dal momento che tenta di impedire all’esecutivo di governare. Il sottosegretario al welfare Maurizio Sacconi accusa la Cgil di non avere marcato «alcun confine a sinistra», cioè verso «un’area che ha una particolarissima contiguità con il terrorismo». Tutto questo potrebbe essere ascritto a un intento strumentale talmente scoperto da risultare irrilevante, se non fosse che qualche risultato lo ottiene. Da un lato infatti tende a delegittimare il sindacato (e a cascata la sinistra), riesumando schemi da anni Settanta sull’album di famiglia. E dall’altro imprigiona nel silenzio i moderati del centrosinistra: i quali non esistono più, secondo Giulio Tremonti, dato che a Roma si sono viste solo bandiere rosse. Il lessico del ministro dell’Economia è sempre flamboyant. Non è stato lui a dire che dopo il corteo della Cgil i riformisti dell’Ulivo sono «capretti che aspettano la Pasqua»? Questa affettuosa immagine è un pensierino da macelleria ma indica un problema reale, rappresentato dal fatto che lo scontro sindacale con il governo ha effettivamente messo la sordina alla componente centrista. Non è un caso che, nel tragico congresso di fondazione della Margherita, Massimo Cacciari abbia tentato di salvare capra e cavoli proponendo il ticket Prodi-Cofferati. Una soluzione rocambolesca, ma anche a suo modo rivelatrice. Il successo di Cofferati lascia praticamente senza parole i centristi dell’Ulivo. In prospettiva mette in crisi la tranquilla coscienza che il centrosinistra è competitivo soltanto con una leadership estranea ai Ds. Si aggiunga che larga parte della Margherita è fortemente dubbiosa sulla guerra di religione a proposito dell’articolo 18. E si consideri che le elezioni amministrative di fine maggio sono un test in cui l’Ulivo, che pure non può permettersi un’altra batosta, misurerà i rapporti di forza interni all’alleanza. In queste condizioni, fra una sinistra ravvivata dalle piazze e un centro che fallisce perfino il congresso d’esordio, potrebbe scattare il gioco a somma zero in cui la vittoria degli uni è l’insuccesso degli altri. Non servono nemmeno rotture spettacolari. Basta un’incapacità di parlarsi, di individuare gli obiettivi, di perseguirli razionalmente. Dopo le ventate di entusiasmo pubblico, un votarsi alla sconfitta ognuno per la sua strada. Fraintendendo ancora una volta che la questione da risolvere non riguarda (solo) la resurrezione della sinistra, bensì la rifondazione dell’alleanza.

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