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Gli inquilini delle libertà

21/02/2002

Le minacce con cui Umberto Bossi ha reclamato un posto nel consiglio d’amministrazione della Rai non preludono al nuovo ribaltone, ma mostrano che la Casa delle libertà non è quel capolavoro di coesione che è stato venduto agli elettori nella campagna elettorale del 13 maggio scorso. La potenza politico-mediatica di Silvio Berlusconi è intatta, ma il centrodestra è un cantiere: la Lega è un partito miracolato dalle concessioni elettorali di Forza Italia e deve esibire qualche risultato al suo elettorato residuo, i centristi post-dc sono un laboratorio permanente con la visuale proiettata verso il dopo-Berlusconi, mentre Gianfranco Fini insegue un progetto ancora indefinito, in cui il suo successo prescinde largamente da un partito-zavorra. Niente sconquassi a breve termine, quindi: eppure sarà bene valutare anche la psicologia personale e politica di Berlusconi: il quale ha molte qualità ma non la pazienza del lungo periodo. Con gli intimi, il premier ha ammesso a denti stretti di avere fallito il grande plebiscito elettorale per colpa dei "faziosi" della Rai (Luttazzi, Santoro), che gli hanno sottratto punti con il risultato di trovarsi appesantito da alleati di scarso peso numerico, ma capaci di complicare il gioco e di rendergli defatigante il comando. Che questa analisi sia esatta è da verificare; ma che il Cavaliere si trovi a disagio con le mediazioni interne è un dato di fatto. Alla fulmineità napoleonica delle leggi approvate durante i 100 giorni, tutte largamente rispondenti alla funzione di zuccherino per i suoi elettori (abolizione della tassa di successione) o a intenzioni privatistiche (rogatorie e falso in bilancio), non è seguita un’azione di governo altrettanto efficace. Le furbizie del ministro Maroni non hanno schiodato la trattativa sull’articolo 18, la riforma delle pensioni ha deluso la Confindustria, le grandi opere sono nella nebbia: e ancora, la devolution è su un binario morto, il conflitto d’interessi continua a incombere, e più generalmente rimane imprecisato quel fantastico piano di rifacimento dell’Italia annunciato dal presidente operaio. Avrà pure fatto il suo corso di politica, Berlusconi, ma difficilmente può sopportare a lungo la sensazione di stallo che lo avvolge. Lo spoil system sembrerebbe un gradevole surrogato all’iniziativa politica, ma mette allo scoperto gli appetiti dei partiti della coalizione, e dunque può procurare più problemi che soddisfazioni. Per ora il capo del governo può contare su quell’atteggiamento diffuso che il politologo Ilvo Diamanti ha definito «consenso senza fiducia»: ma non figura tra le caratteristiche antropologiche di Berlusconi l’idea di galleggiare stancamente. Deve rilanciare di nuovo, e perciò si tratta soltanto di aspettare quando lo farà. Può avvenire con le amministrative di primavera, oppure in coincidenza con una sentenza sfavorevole nel processo Sme, ma in ogni caso fra qualche mese il Cavaliere sentirà il bisogno del plebiscito. Per ottenerlo ha bisogno che la Casa delle libertà venga ristrutturata nel formato e nei soci: cioè in modo che comprenda alleati che assomiglino più a inquilini che non a comproprietari.

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