gli articoli L'Espresso/

E spuntò un arcipelago azzurro

20/11/2003

Una scena politica senza Berlusconi. Dramma per metà dell’Italia politica. Utopia per l’altra metà. Nei corridoi dei partiti non si parla d’altro. Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini che sono pronti a giocarsi a dadi le vesti dell’Unto. Umberto Bossi che potrebbe giocare d’anticipo e demolire il muro portante della Casa delle libertà. Il líder máximo che interroga gli oroscopi sul risultato dell’eventuale plebiscito. Scherzi della politica, quelli che avvengono dentro un’alleanza numericamente blindata e ideologicamente schizofrenica. Partiti tenuti insieme dal potere e divisi dalle ispirazioni culturali, dalle idiosincrasie sociali, dalle insofferenze reciproche, dai risentimenti personali. Prima di dare per abbattuta la Casa delle libertà, conviene chiamare un tecnico e scrutare lo stato delle sue fondamenta. Cioè di Forza Italia. Il tecnico si chiama Ilvo Diamanti, è uno dei più accreditati scienziati politici italiani, ed è il primo scopritore e depositario della "questione settentrionale". Con alcuni suoi libri ("La lega", 1993, e "Il male del Nord", 1996) ha studiato in profondità il cataclisma che ha mandato a catafascio la Repubblica dei partiti. Soprattutto, è uno studioso che tiene vivo il legame fra l’analisi e la ricerca empirica, come traspare ogni domenica nelle sue "Mappe" sul quotidiano "la Repubblica". Poche opinioni personali, quindi. Piuttosto, una pioggia infinita di dati, ordinati con uno sforzo ricostruttivo estenuante. Pennellate sulle tradizioni politiche locali integrate da approfondimenti essenziali sulla sociologia economica del territorio. Docente di scienza politica a Urbino, di casa a Parigi con il suo amico e interlocutore Marc Lazar, Diamanti pubblica ora un saggio che promette di essere uno dei libri inevitabili per tutti gli osservatori della politica. Si intitola "Bianco, rosso, verde… e azzurro. Mappe e colori dell’Italia politica" (Il Mulino, 182 pagine, euro 11,80) ed è in libreria da oggi. Si tratta di una sintesi complessiva della vicenda politica dell’Italia repubblicana, fotografata attraverso una quarantina di cartine colorate che descrivono anche visivamente come è cambiata la composizione territoriale della politica nazionale. All’inizio si vede l’Italia bianca della Dc, fronteggiata dall’Italia rossa del Pci (Pds, Ds); poi emerge la fascia verde dell’insorgenza leghista. E infine campeggia l’Italia azzurra di Berlusconi e di Forza Italia. Per decenni, spiega Diamanti, il territorio è vissuto in simbiosi con la politica: il Pci prosperava nelle roccaforti rosse dell’Emilia-Romagna e dell’Italia centrale, caratterizzate da un ricco contesto economico, dal civismo delle popolazioni, da amministrazioni efficaci. Nelle zone bianche, e soprattutto nel Nordest plasmato da una marcata impronta cattolica, la Dc esercitava la sua fitta mediazione fra il governo centrale e il municipio. Tutto si teneva. Con la nascita delle leghe, e in seguito con la Lega Nord, si è avviata invece la fase esplosiva del «territorio contro la politica». Prima contro la Dc; poi, a intermittenza, contro il neo-partito di Berlusconi. Siamo nell’Italia del localismo e della piccola impresa; nella Padania, «non più solo luogo di produttori», scrive Diamanti, «ma nazione, che unifica ciò che, in realtà, per economia, società, orientamento politico, appare diviso». In questa «patria immaginaria», sede dell’identità della «Lega degli uomini spaventati» (i ceti periferici storditi dalla globalizzazione), il movimento leghista deve fare i conti con la concorrenza sul campo del partito nuovo, il partito azzurro, Forza Italia. Un altro «partito antipartito», che però si muove in uno spazio politico indefinito: «Evoca non la nazione ma la nazionale… suggerisce la fine della politica che affonda le radici nella storia e nel territorio». Di più: Forza Italia rappresenta il preludio a una «politica senza il territorio». È vero che la nostra geografia politica «si dualizza, riproducendo, in fondo, la struttura del passato. Si ripropone, cioè, un’Italia rossa, che si addensa nelle province dell’Italia centrale, circondata, quasi assediata dall’Italia azzurra, che occupa il resto del paese». Con una conseguenza rilevante: che l’alleanza fra Berlusconi e Bossi diventa inevitabilmente una partnership rivale. Perché l’elettorato è il medesimo, dal momento che Forza Italia è un arcipelago: «Meglio: una catena di arcipelaghi: grappoli di isole, isolotti e scogli», che si articola al Nord lungo le aree della new economy, della finanza, dell’informazione, del lavoro postfordista, della piccola impresa, del commercio e della rendita immobiliare; nel Sud, raccoglie il voto del ceto medio di pubblico impiego, pensionati, casalinghe, studenti. Una nuova Dc? Non proprio: forse un suo replicante più «materiale», senza radici confessionali, e neppure culturali; con una struttura organizzativa così composita che «anche se garantisce molti legami con la società, tende a produrre conflitti endemici, difficili da comporre perché, a differenza dei partiti di massa del passato, non c’è l’identità a soccorrere». Nell’insieme, Forza Italia contiene in sé le ragioni della propria tenuta e a un tempo quelle della propria disgregazione. Nelle aree settentrionali propone un modello individualistico, legato agli interessi; nel Mezzogiorno fa leva sul legame personale. Si presenta come il partito della modernità e dell’impresa innovativa, ma assorbe i ceti marginali (pensionati, casalinghe, disoccupati) e il lavoro autonomo tradizionale: «Per questo, Forza Italia appare un partito dalle radici fragili, anche se in alcune zone ancorato saldamente». Anziché un partito di massa, potrebbe assomigliare a una «massa senza partito», garantito prevalentemente dalla retorica comunicativa al cui centro si staglia il leader Berlusconi. E qui potrebbe scattare la "trappola del territorio". Perché nell’Italia di Forza Italia «coabitano componenti territoriali e sociali distinte… alcune tensioni, alcuni contrasti che non è facile comporre e controllare troppo a lungo». Che potrebbero, «in prospettiva, porre seri problemi a Forza Italia e alla sua pretesa di fare politica senza il territorio». C’è una tensione fra il Nord metropolitano e il Sud protetto. Fra la domanda di protezione e la spinte imprenditoriali e liberalizzatrici. Anche nel Nord, si esprime una tensione forte tra la società emancipata delle città e le fasce più deboli delle periferie, in balia dell’incertezza. Inoltre la classe politica forzista, frammentata localmente, è essenziale per il mantenimento del consenso, ma risulta portatrice di richieste politiche contraddittorie o addirittura conflittuali. Non è un caso che il "partito senza territorio" divenga «tanto più competitivo alle elezioni quanto più ci si allontana dal contesto locale, quanto più l’arena elettorale si allarga e si allontana dalla realtà quotidiana». Forza Italia vince alle europee e alle politiche, se la cava alle regionali, mentre va peggio alle provinciali e alle comunali. Da qui viene il rischio di un’instabilità continua, in quanto «in Italia il voto locale tende a venire letto in chiave politica nazionale e a determinare, per questo, effetti politici nazionali. Com’è avvenuto dopo le elezioni del giugno 2003, i cui risultati hanno innescato un conflitto lacerante fra i partiti della Casa delle libertà». Viene il sospetto, leggendo Diamanti, che il confronto attuale con la Lega non sia solo un episodio minore della lotta fra un movimento residuale e un partito virtualmente egemone. I colpi di coda di Bossi, le risse fra alleati, rappresentano la sintesi della contraddizione intrinseca alla Casa delle libertà e a Forza Italia. Per un soggetto politico che ha come icona pop della propria fede l’immagine di Berlusconi, l’identità leghista costituisce l’antitesi più netta. Per un partito esplicitamente nazionale e de-territorializzato, il federalismo appare un sovraccarico inutile. Più in prospettiva, la defezione della Lega potrebbe essere la miccia che fa esplodere le tensioni tenute finora sotto controllo, dilatando a dismisura la distanza fra l’Italia del privato e l’Italia assistita, fra i protagonisti del successo sociale e i marginali, fra i surfisti della comunicazione e gli esclusi. Impedendo a Berlusconi, come diagnostica Diamanti, di governare l’Italia: ma anche, più radicalmente, di governare il suo partito-arcipelago e la Casa delle litigiosità.

Facebook Twitter Google Email Email