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Due o tre cose che l’Ulivo dovrebbe fare

02/10/2003

I vertici del centrosinistra sono impegnati in una partita di movimento e stallo sulla questione sottilissima della lista unica, e dell’eventuale partito riformista. Affascinante per i corridoi di partito e, a essere ottimisti, per i militanti che affollano il lunghissimo settembre di feste di partito, il dilemma se uniti si vinca o si perda è già stato risolto dall’opinione pubblica. I dati dei principali istituti di ricerca mostrano infatti che gli elettori votano tendenzialmente per lo schieramento e non per il partito; il problema dell’identità rimescola i sentimenti di assessori, consiglieri comunali, funzionari di partito, e di una parte degli iscritti: ma l’onda dell’elettorato silenzioso e ragionevolmente distratto ha già mostrato la sua direzione. Lista unica e partito unico costituiscono in sostanza un approdo semi-obbligato. Si tratta di individuare tempi e procedure, ma non la sostanza. Piuttosto, il centrosinistra ha di fronte un problema concreto e insidioso, reso più complicato dal clima di lieve euforia riguardo alle future consultazioni elettorali. Se la vittoria è sicura, inutile darsi da fare. E invece no. Nel sistema bipolare all’italiana, non ancora secolarizzato, non ancora laicizzato, e caratterizzato da una perdurante animosità di una coalizione contro l’altra, non sono ipotizzabili spostamenti significativi di quote di elettorato. I risultati futuri saranno influenzati con ogni probabilità da fattori tecnici, da situazioni locali, dalla resa dei candidati nei collegi. E anche da un fattore tutt’altro che trasparente, ma importante e virtualmente decisivo per i riflessi che può avere sulle categorie produttive, sulle articolazioni dell’industria e della banca, sull’informazione, sulle aggregazioni professionali. Si tratta dell’atteggiamento dell’establishment. In particolare del potere economico e finanziario. Una ristretta fascia di persone che suggerisce o addirittura detta la tonalità politica ai piani alti della società italiana. Ora, è noto che i rappresentanti dell’élite economica fanno generalmente tutti lo stesso discorso, riassumibile nei termini seguenti: è vero che il governo della Casa delle libertà si è rivelato una chiara delusione; ma è vero che dall’altra parte il centrosinistra è una coalizione scarsamente affidabile, incerta, conflittuale, confusionaria. Questo verdetto negativo e simmetrico ha la forza di un automatismo infallibile. Sarebbe quindi il caso che gli esponenti di punta dell’Ulivo si dessero da fare per sbloccarlo, altrimenti il "quaeta non movere" potrebbe diventare lo schema fisso dell’establishment. Senza garanzie a sinistra, tanto vale tenersi la destra. Già, ma come interrompere questo riflesso pavloviano? Quali sono gli strumenti e le modalità per indurre il potere reale dell’Italia contemporanea a valutare un’alternativa possibile? Scartate le idee eroiche come il governo ombra, scarsamente praticabile da un’alleanza poco disciplinata in cui tutti continuerebbero a esibirsi in un cicaleccio continuo, varrebbe la pena di adottare strategie più modeste quanto potenzialmente efficaci. Ad esempio, non sarebbe incongruo pensare a un "road show" degli esponenti più accreditati nell’ambiente economico: figure, tra gli altri, come Enrico Letta, Pier Luigi Bersani, Giuliano Amato. Dai quali dovrebbe venire un messaggio ai "poteri forti": d’accordo, il centrosinistra è un bailamme, ma i suoi eventuali ministri sono altamente professionali; e in grado di comporre una compagine capace di rimettere in sesto il paese dopo il probabile definitivo fallimento del centrodestra. Non è solo un’operazione autopromozionale. Si tratta di incidere in un settore delicatissimo della vita nazionale, segnalando anche i rischi che le élite di potere possono assumersi appiattendosi su un governo dal destino incerto. L’obiettivo minimo è di ottenere, da Umberto Agnelli, da Marco Tronchetti Provera, da Cesare Romiti, e in ogni caso dai gangli principali del potere italiano, un atteggiamento equilibrato. L’obiettivo massimo è di vedersi riconosciuta una credibilità. In fondo alla strada, c’è il grande partito riformista; ma intanto, la politica ha sentieri intermedi che sarebbe ingenuo non esplorare.

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