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Vladimir e il Timoniere

11/09/2003

Il dilemma dominante è che qualcuno prenda sul serio il Cavalier Berlusconi. Insomma che qualcuno della vipperia politica mondiale non smentisca il suo preteso ruolo internazionale e la sua statura diplomatica. Vabbé che il presidente di turno dell’Ue sfigura fisicamente in Sardegna, sarà lo stress, rispetto alla silhouette sfoggiata a luglio da George Bush nel ranch texano di Crawford, quando ricevette l’amico italiano. I glutei scolpiti di Dabliù l’Irakeno sono una meraviglia progettuale, mentre l’addome berlusconiano, sotto la camicia alla marinara con gli alamari, pare la sintesi di un disagio psicosomatico. Lo prende sul serio Vladimir Putin, il judoka dalle mammelline bianche e flosce. Si fa accompagnare nel parco dei cactus di Villa La Certosa, con il Berlusconi Driver alla guida della vetturetta da golf. La camicia del piccolo zar è un residuato dei grandi magazzini sovietici, e a vederli insieme i due Schwarzy formato mignon sembrano la prova di come si sostituisce la fitness con l’indulgenza sfrontata per il proprio declino fisico. Ecce homo, anzi eccone due. Eppure sulla diplomazia l’ex uomo Kgb non si tira indietro. Accetta l’incontro informale, in un luogo irrituale, con i turisti che vengono a vedere e a fotografare i rappresentanti del potere geopolitico davanti all’imbarcadero più o meno come andavano a veder scendere Flavio Briatore a Poltu Quatu. Solo che lì non c’è la barca briatorea, e non c’è neanche "Naiomi": a Santo Stefano staziona l’incrociatore Moskva, mentre a pochi metri dai due piccoli machos è in osservazione la motovedetta dei carabinieri. Lo Stato, cioè la Benemerita, e il Privato, ovvero i sei metri del gozzo del Capo, riuniti nell’istituzione-governo, con il Grande Timoniere che per l’appunto sta al timone, perché se non guida non è più lui. Si ha la sensazione che i post-sovietici siamo noi, altro che l’agente Vladimir. Noi che siamo venuti fuori faticosamente da una cinquantennale dittatura comunista (d’accordo, non una dittatura ma l’egemonia sì). Noi che possiamo alternare il doppiopetto da statista alla tenuta da svacco agostano, compreso il berrettino blu della marina che fa tanto Potemkin, e compresa la passeggiata a piedi nudi nel parco. Noi che possiamo invitare lo zarino a fermarsi per un Campari soda al bar del villaggio Palumbalza. E può mancare, mentre secondo le cronache «spira un ponente frizzante», un posticino tranquillo, nel golfo di Marinella, una caletta dove fare un bagno insieme? Sono amicizie fortemente virili, molto americane, molto russe. Ma evidentemente Putin gli dà corda, al piccolo timoniere. Così come gliene danno tutti quelli in lista d’attesa per Porto Rotondo dopo Putin: Aznar, Raffarin, Erdogan. Perché magari l’Italiano potrebbe essere uno che vende mercanzia altrui; ma se poi la transazione funziona? Dice a Putin che auspica un forte avvicinamento della Russia all’Unione europea. Fa comodo al judoka pensare che lo spirito italico possa favorire un’«intesa special», una entente molto cordiale con l’Unione europea, un colpo di prestigio internazionale capace di oscurare il dramma ceceno, le lotte fra gli oligarchi, le fazioni militari, e anche un’immagine in cui della Russia spiccano soprattutto i magnati della ricchezza post-comunista come Roman Abramovich, il padrone-spettacolo del Chelsea. L’uomo che a ventre in fuori indica i cieli di Sardegna si presenta come il Tessitore del riavvicinamento fra la Casa Bianca e il Cremlino, l’Auspice di un mandato dell’Onu sull’Iraq, condizione di un coinvolgimento russo sotto il comando americano. Tutto assai ipotetico, assai fragile, assai virtuale. E tuttavia all’ora di pranzo telefonano a Bush, «su iniziativa italiana», anche se non si capisce niente sul contenuto della telefonata a tre. Potrebbe essere andata male, dieci minuti irrilevanti di cui la metà per le traduzioni: ma se invece fosse il varo informale di una road map per dare peso alla "Comunità delle democrazie", una partnership in progress fra Usa, Ue e Russia? Oltretutto, l’autunno del geopolitico Berlusconi è frenetico. Deve andare a New York il 22 settembre per partecipare all’assemblea generale delle Nazioni Unite. In ottobre avrà il compito di presiedere l’inaugurazione della conferenza intergovernativa di Roma, quella che dovrà mandare al largo la costituzione dell’Unione europea. Si alzano i sipari di uno spettacolo continuo. Le gaffe come quella del kapò al socialdemocratico tedesco Schulz e l’accusa di "turisti della democrazia" al Parlamento europeo sono il passato. Adesso c’è la possibilità di trasformare in una successione di eventi glamour la politica estera, per esibire ogni giorno la credibilità internazionale di colui che i suoi nemici si ostinano a considerare come un vecchio chansonnier. Il fatto è che così come fa politica estera nella spiaggia di casa, indifferente alle forme e ai rituali classici, mischiato alle guardie del corpo e mostrando la soddisfazione incontenibile di considerarsi un giocatore planetario, allo stesso tempo non ha codici e schemi intoccabili. Ha già contribuito a spezzare la solidarietà europea convenzionale sull’Iraq, ha inventato la non belligeranza attiva, è largamente indifferente ai processi istituzionali dell’Unione, sprizza soddisfazione nell’essere accolto nel club dei potenti, e nel poterli invitare fra barche ed elicotteri, proponendosi come primattore e regista, presidente operaio, giardiniere e plenipotenziario dell’Occidente. C’è qualcuno che può smentirlo a priori? Certo, sullo sfondo della vecchia Europa rimane la distanza stilistica da Berlusconi rimarcata da Jacques Chirac, e la freddezza ribadita di Gerhard Schröder. Ma intanto da parte russa non ci sono rilievi sulla qualità dell’intrattenimento, né insofferenze estetiche per il lato tragicamente cheap delle seratine in villa. Pazienza per i fuegos y musica durante la cena del sabato. Ma poi, come si fa, uno invita il Moscovita e gli propina Tony Renis che dedica a Vladimir la riesumata "Quando quando quando", oltre al coautore napulitano Mariano Apicella, che coinvolge il premier italiano in certe loro creazioni (avranno cantato "’A gelusia"?). E di seguito arriva l’infortunato Andrea Bocelli, precettato sempre da Renis, che non va più in là di due strofe di "Tu ca nun chiagne" perché ha la bua dopo un incidente con il surf. E l’ultimo stenda un velo sull’esito di una serata che si conclude con un coro italo-russo sulle note di "Oci ciornie". Sicché nel disfarsi del protocollo si fissa una domanda strategica: qual è il tono dominante della tre giorni sarda e quale ne sarà il risultato? Se va male, il successo del progetto "global" di Tony Renis, ovvero l’incisione del cd Berlusconi-Apicella sotto il patrocinio dell’Unicef. Ma se invece si afferma la kitsch-diplomazia, lo show tipo Mirabilandia di chi ha vera pratica di mare, e soprattutto se il mondo va secondo le speranze di Berlusconi, tranquilli che il Cavaliere si appropria della geopolitica, se la infila nel taschino della camicia, esce dalla cronaca e si consegna alla storia. Dopo di che, qualcuno lo smentisca.

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