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E Fini ordinò: "Palla al centrodestra"

04/09/2003

Secondo un osservatore come Ilvo Diamanti, è patetico lagnarsi delle interferenze della politica sul calcio: «Oggi il calcio "è" politica». Le società calcistiche si rivolgono ai partiti e ai loro uomini perché risolvano i problemi che esse non hanno saputo fronteggiare; uomini politici e governo si rivolgono al calcio «per catturare i consensi, che faticano a conquistare in altro modo». La sintesi del politologo è eccellente ma la sua obiettività "scientifica" rischia di renderla criptata. Mettiamola in chiaro, allora. Le istituzioni del calcio nazionale, Federazione e Lega, sono organismi di potere. In particolare la Figc, che per statuto raggruppa le associazioni che promuovono il gioco del calcio, è una specie di Coldiretti postmoderna, che fa gola per la sua capacità di plasmare consenso politico e ripartire potere. Non si spiegherebbe altrimenti la violenta polemica che il vicepremier e leader di An, Gianfranco Fini, ha aperto contro il presidente della Federcalcio, Franco Carraro: «Parlando da tifoso», cioè in chiave apertamente populista, e con il coro dei colonnelli del suo partito, Fini lo ha invitato alle dimissioni. Ora, Carraro non sarà una folgore, ma è un uomo legato a circuiti politici non proprio distanti dall’ambiente del capo del governo e di Forza Italia. L’errore del presidente della Federcalcio è stato di pensare che il tremendo bordello aperto dalla sentenza del Tar che riammetteva in serie B il Catania potesse essere gradito con i metodi tradizionali della Federazione, cioè di un’oligarchia abituata a trovare al proprio interno compromessi e risarcimenti in perfetto stile Prima Repubblica. Nell’impazzimento generale, e con la crisi calcistica accentuata dal caso delle fideiussioni truccate, si è capito che la soluzione sarebbe stata esclusivamente politica. Silvio Berlusconi ha pronunciato tutto compunto il suo «so che tocca a me» e il consiglio dei Ministri ha partorito la trovata del decreto "salvacalcio". Il ministro Giuliano Urbani, politologo anche lui, è apparso in tv per dire in modo non proprio convincente che la formula era stata trovata, e gli organi calcistici hanno capito alla perfezione quale fosse il messaggio governativo. Niente pasticci ulteriori, niente conflitti. Bisognava salvare Carraro e il Catania, Gaucci e la serie A, i bilanci e la pay-tv, le zone di influenza di Forza Italia e di An. Naturalmente, il decreto salvacalcio era un obbrobrio costituzionale, dato che interveniva sulla giustizia, fissando con un ukase il giudice naturale del calcio nel Tar di Roma; al punto che un liberale che di recente si ricorda spesso di essere tale, l’ex ministro del decreto "salvaladri" Alfredo Biondi (c’è sempre qualcosa da salvare, nel paese) si è dichiarato in disaccordo sul metodo e il contenuto del nuovo decreto di salvataggio calcistico. Dopo di che, nessuno sa quale sorte parlamentare avrà questo decreto; non si sa se la Lega voterà contro, come ha fatto nel Consiglio dei ministri, o se verranno introdotti emendamenti. Di sicuro il metodo di apparente ascendenza andreottiana adottato dal governo, con il decreto che decreta, e le strutture sportive (Federazione e Coni) che "autonomamente"agiscono, è già fallito. Restano le mezze frasi che sono circolate in queste settimane, quelle che attribuiscono a Berlusconi e alla maggioranza una preoccupazione acutissima per le questioni di ordine pubblico, nel caso di rinvio del campionato o di declassamento di alcune società per bancarotta. A questo punto, la complessità della situazione, con la rivolta della serie B, può giustificare anche il sacrificio azteco di Carraro. Nel frattempo, senza moralismi inutili, e senza richiamare l’attenzione ancora una volta sulla vistosa azione compiuta dal coordinatore di An Ignazio La Russa a favore del Catania (chi è senza peccato scagli la prima pietra), vale la pena mettere a fuoco l’interesse strategico del centrodestra verso il calcio. Ha ragione Diamanti, il "new football" è la prosecuzione della politica con altri mezzi. Finora l’intervento del governo si è limitato alla cornice organizzativa. Ma che succederebbe nel caso di una striscia di decisioni arbitrali sfavorevoli a una certa squadra? Premier, vicepremier, ministri e coordinatori si limiterebbero a polemizzare, o additerebbero all’Italia intera, come nella fatal Verona, il "complotto dei fischietti"?

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