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Gli esami e le mazzette non finiscono mai

31/07/2003

La vicenda degli esami comprati e venduti nella facoltà di giurisprudenza dell’università di Roma La Sapienza potrebbe sembrare una storia a suo modo classica, tradizionale, già vista decine di volte. Al massimo, rispetto ad altri casi analoghi, potrebbe colpire il numero elevato degli indagati e un aspetto organizzativo che suggerisce l’idea di una struttura corruttiva permanente e articolata, tale da coinvolgere docenti, apparati amministrativi, bidelli e studenti. Niente di nuovo sotto il sole, dunque, a parte la vastità ramificata dell’organizzazione? Chissà. Anche se è improprio trarre conseguenze generali da un caso singolo, dalla storiaccia dell’università romana sembra di percepire un sapore molto attuale, molto italiano e molto contemporaneo. A scorrere la cronaca degli ultimi mesi, infatti, si avverte che la vita pubblica è punteggiata da continui episodi di corruzione. Le tangenti di Luigi Odasso a Torino, le forniture delle valvole cardiache tarocche, le aste pilotate dell’Anas, le mazzette dell’Inail, il tutto fra intercettazioni telefoniche imbarazzanti e assessorati come centri di potere. Secondo alcuni, Antonio Di Pietro in testa, ciò significherebbe che Tangentopoli è viva e perdurante, e che c’è un "sistema" della corruzione soltanto scalfito dalle inchieste di Mani pulite. La diagnosi è infausta, ma non sembra congruente con la realtà. La grande corruzione, quella innestatasi sul mercato delle opere pubbliche tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta, e messa allo scoperto dalle inchieste del pool di Milano, è stata stroncata. O perlomeno è stato abbattuto quell’oligopolio corruttivo fra grandi imprese e sistema politico che aveva provocato una drammatica distorsione del mercato, oltre a porre le basi del crollo della "Repubblica dei partiti". Ciò che si manifesta ora è qualcosa di diverso. Sembra di assistere infatti a un cedimento del tessuto civile, a strappi nella trama di regole che presiedono al funzionamento ordinato della società. Si tratta di indizi, naturalmente, e non vale la pena di gettare grida d’allarme apocalittiche. Eppure, questi indizi sono un sintomo. Segnano la traccia che la società italiana è stata esposta in modo tumultuoso al mercato, senza poter contare su quell’insieme di abitudini e di convenzioni che fondano le reti della convivenza e della fiducia collettiva. Il fatto è che oggi la nostra società è sottoposta a pressioni e a tensioni contraddittorie. Da un lato la concorrenza, e l’imperativo della competitività sotto ogni profilo, stressano le imprese, gli operatori, i lavoratori stessi. Per un altro verso, lo spettacolo del potere, del successo, del denaro espone le differenze sociali mostrando livelli inediti di ineguaglianza. Ancora: i modelli culturali prevalenti designano una sfasatura acuta fra i simboli del consumo e le possibilità reali degli individui. Per questo entrano in crisi i codici di lealtà: non si dovrebbe dimenticare il caso più vistoso, allorché gli assistenti di volo dell’Alitalia hanno "scioperato" presentando il certificato di malattia, con ciò rendendo esplicita una defezione formale dalle regole deontologiche e sindacali. Si ha la sensazione insomma che una comunità abituata al tepore dell’assistenza, ai particolarismi e ai rapporti clientelari dello stato sociale all’italiana, stia cominciando a ritrovarsi senza difese rispetto alla durezza del mercato, e incapace di reggere la spinta al consumo. Dentro questo quadro, in cui parole come "sobrietà" sono patrimonio solo di alcune minoranze, il tessuto civile si slabbra. L’individualismo sradicato dai valori condivisi deve fare i conti sia con la richiesta continua e faticosa di performance professionali crescenti, sia con la percezione sempre più diffusa che la diseguaglianza è un prodotto inevitabile della società "liberista". Prendere atto di questo contesto non è moralismo: significa piuttosto che sarebbe ancora utile mettere insieme programmi politici basati su alcune parole un po’ vecchio stampo. Redistribuzione, per esempio. Coesione sociale. Se si vuole, anche solidarietà. Perché gli individui nel clima di lotta e di invidia sociale si arrangiano, ma le società devono governarsi con saggezza, guardando al proprio futuro e non solo al "qui e ora".

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