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Abolire il 1° maggio?

08/05/2003

L’hanno già detto che alle manifestazioni del Primo maggio sono previste troppe bandiere rosse? Ce n’erano troppe nelle manifestazioni pacifiste, secondo l’acuta sensibilità cromatica della Casa delle libertà, e quindi è logico aspettarsi che anche la festa dei lavoratori sia inquinata dalla criminalità del comunismo e dei suoi residui. Il 25 aprile è soggetto ormai da tempo a un attacco "revisionista", ispirato dall’idea di equiparare anche politicamente le vittime dell’una e dell’altra parte. Quanto alla Costituzione, l’arguzia interpretativa di Silvio Berlusconi ne ha già messo in luce le infezioni sovietiche. Sembrerebbero boutade non perfettamente riuscite. Oppure pulsioni revansciste da parte della destra più pugnace. In realtà sono il frutto di un disegno politico, e anche piuttosto scoperto. Perché l’aggressività verso le date e i simboli della sinistra non risponde all’intento di ripristinare verità storiografiche su cui si sono inevitabilmente impressi retoriche e stereotipi: in sé non c’è nulla di sacrilego nel ripercorrere i momenti di frattura nazionale, di guerra civile, di scontro di classe, di crudeltà politica o privata che hanno costellato le vicende cruciali del nostro Novecento, di cui la lotta di liberazione è un esempio. Così come è perfettamente legittimo riconsiderare il confronto fra democristiani, laici e comunisti che portò alla stesura della carta costituzionale («Il primo compromesso», secondo Norberto Bobbio). Solo che la storia va interpretata e compresa, non brandita e usata. Mentre alcuni settori del centrodestra ne fanno un uso politico spregiudicato. Più ancora alcune frange di Forza Italia che non Alleanza nazionale. Il fatto è che dentro An il risentimento anticomunista e antipartigiano trova una sua origine nelle vicende che hanno coinvolto i progenitori di quel partito, e nel lascito di memorie e rancori di una guerra civile combattuta dalla parte sbagliata, che Gianfranco Fini cerca di coprire con il silenzio. E non va dimenticato che il Movimento sociale è stata l’unica forza politica esclusa, salvo imbarchi strumentali, dall’arco costituzionale e dalle tessiture politiche "consociative", cioè dalla fondazione e dalla prassi politica della Repubblica: e anche su questo argomento An non ama passare per un plotone di guastatori. Risulta più interessante sul piano politico l’anticomunismo di Berlusconi, che ormai assomiglia sempre più all’antisemitismo dei giapponesi. Eppure sarebbe sbagliato attribuire l’animosità permanente del capo del governo contro un nemico scomparso a una sua nevrosi culturale. Tutt’altro. È più probabile che si tratti di un calcolo a freddo. Il leader di Forza Italia infatti ha un interesse primario nel fissare in chiave ideologica la divisione politica fra gli elettori. Di qua ci siamo noi, la Casa delle libertà. Dall’altra parte c’è tutto quello che noi odiamo: lo statalismo, il professionismo politico, i funzionari sindacali, il richiamo irritante alle regole, i giudici, il settore pubblico, il sociale. Basta riunire tutto questo sotto l’etichetta del "comunismo", per scavare una trincea nel bipolarismo. Si tratta di lanciare un messaggio martellante ai cittadini, per rievocare vecchie pregiudiziali e per rinfocolare l’idea che da una parte c’è il culto e la virtù della libertà, e dall’altra il vizio dottrinario. D’altronde, è vero o no che nel centrosinistra sono rimasti soltanto quei cattolici che erano più disposti a patteggiare con il Pci? È vero o no che partigiani comunisti si sono macchiati di imprese esecrabili? È vero o no che la Costituzione risente di mediazioni sociali tali da renderla un documento non ascrivibile all’integralismo liberale? È tutto quasi vero. In quel "quasi", tuttavia, è racchiusa la pesantezza e la drammaticità della storia. Nella verità rivendicata dai berlusconiani è implicita la strumentalizzazione del passato per rovesciarlo sul presente. Hanno ragione loro, naturalmente: è utile e conveniente ricordare che il movimento operaio non è mai stato un campione di liberalismo: troppo rossi, i lavoratori, troppo legati a un’idea di riscatto egemonizzata dai comunisti. E allora, se riscrivere la Costituzione è un’impresa troppo complicata, se riadattare i libri di storia richiede tempo, forse è il caso di abrogare il Primo maggio. O almeno di trasformarlo in una parata di reduci e di sconfitti, insieme a quell’Italia minoritaria che si ostina a non credere alle grandi ricette ideologiche della destra superliberale.

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