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Al centro con Nando Meniconi

06/03/2003

È stato l’americano, il vitellone, il vigile, il magliaro, l’antidivorzista, il medico della mutua, il detenuto, il tassinaro. Ma forse nell’intimo Alberto Sordi è stato soprattutto il "compagnuccio della parrocchietta", il democristiano di quartiere che si prepara a una carriera di terza fila nello Scudo crociato. Sicché non è proprio agevole stabilire se il Nando Meniconi che distrugge il maccarone sia di destra o di sinistra. È come chiedersi se fosse di destra o di sinistra la Dc, e se è di destra o di sinistra Giulio Andreotti: di centro, di centro, echeggerebbe dall’oblio una folla di democristiani. Avrebbe mai potuto Sordi smentire questo centrismo consustanziale? La sua immagine era quella di un conformismo totale, temperato dall’inclinazione scettica. Grandi princìpi, pochi. La morale convenuta, una maschera per dissimulare peccati tutt’altro che imprevedibili. Il cattolicesimo, un clima respirato fra tonache, porpore, sacrestie. Risultato, l’esatta personificazione di ciò che è "cattolico e romano", sottolineando romano e aggiungendo trasteverino. Per lui, in quanto simbolo dei 12 milioni di albertosordi che assicuravano l’apparente eternità dc, il voto doveva essere semplicemente un automatismo, con il peso della scelta che si scioglieva attraverso una liberatoria croce sulla "Libertas". La cabina come un confessionale; più che una preferenza politica, un ex voto. Alla fine, non era più neanche il borghese piccolo piccolo: era l’uomo qualunque talmente qualunque da non suggerire vocazioni politiche neppure qualunquiste. Del giovane mattatore con i suoi exploit cinici e patetici, sentimentali e ricattatori, restava talvolta un’occhiata di sbieco: e a quell’occhiata bisogna rifarsi per immaginare che cosa avrebbe detto, in privato, dell’Italia che crede in tutto, nelle "tre i", nella mentalità "vincénte" e perfino, come avrebbe detto lui ai tempi dell’avanspettacolo, nella "devolusciòn".

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