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Italia c’è posta per te

26/12/2004

La forza di Enzo Biagi consiste nell’avere in dotazione alcuni principi di fondo, pochi, semplici, espliciti, e con quelli giudicare l’esperienza del mondo. Gli strumenti sono limitati, e riguardano concetti come il buon senso, l’onestà, la capacità di apprendere dagli errori, il non dimenticare la storia e le radici. In questo suo ultimo libro, "L’Italia domanda (con qualche risposta)", appena pubblicato da Rizzoli (330 pagine, 17 euro), Biagi ha raccolto una selezione delle lettere inviategli dai lettori a partire dal 1988. Alcune lettere per ogni anno, con una cronologia degli avvenimenti principali e un inserto d’autore, che può riguardare il personaggio o il fatto dell’anno. Non solo i protagonisti politici, ma anche i personaggi a loro modo minori. Ad esempio, il 1988 è segnato dalla presenza di Adriano Celentano, il «cretino di talento» che aveva incendiato di polemiche la sua conduzione a "Fantastico". La tecnica di Biagi consiste nel non attribuire caratteristiche epocali a personaggi locali. Quanto al Celentano dilagante, «si faccia spiegare la battuta di una sua collega che figura nella storia del cinema, Arletty, indirizzata ai francesi che esaltavano De Gaulle: "C’è differenza tra gli uomini grandi e i grandi uomini". Lui per me sta nella media». In questa capacità e volontà continua di riportare ogni figura alle sue dimensioni più appropriate c’è probabilmente la sfiducia di Biagi per i "fasso tuto mi", per gli uomini del destino e della Provvidenza, sia nelle forme dello spettacolo sia nei modi della politica come show. Non si fida del successo improvviso e vistoso, sa che il tempo è galantuomo, che «questo paese perdona tutto tranne il successo». E sa anche che non c’è soltanto l’Italia della moda, della televisione, del glamour vero o falso, dell’apparire e dell’esserci: c’è anche un paese profondo ancora inquieto per questioni apparentemente superate come la concessione della "prova d’amore". È un’Italia che i frenetici metropolitani ignorano, fatta di gente che si chiede, e chiede a Biagi, se sia consentito farsi giustizia da soli, quando la giustizia fallisce il suo compito, oppure se non sia meglio imparare a perdonare. Problemi psicologici e questioni morali, privato e pubblico si inseguono nelle lettere. E forse queste pagine in certi casi risultano più utili di un’indagine sociologica. Biagi infatti è il Censis dell’intuizione giornalistica: "vede" un problema, lo iscrive in una sua percezione, offre una morale che non è mai una lezioncina, ma semmai il richiamo a un principio. I suoi nemici (perché ne ha di nemici, e non soltanto fra i politici) lo trattano talvolta come un passatista. Qualche tempo fa sul "Foglio" ci fu una specie di campagna contro di lui, l’uomo che sarebbe stato poi cacciato dalla Rai normalizzata, all’insegna dell’epiteto di «re della serie B». Ma a 84 anni, il bolognese di Giustizia e libertà, antifascista e anticomunista, ma rispettoso della qualità civile di molti comunisti, così come era rispettoso della qualità morale di alcuni fascisti, conduce ancora i suoi di?scorsi improntati a un galateo civico, appoggiandosi a una citazione, a un ricordo, alle persone che ha conosciuto. C’è ancora spazio, nell’Italia delle Lecciso, per le considerazioni di Biagi, ispirate al senso comune, determinate dal libro esercizio della propria facoltà d’opinione? Alla fine, il metodo- Biagi è utile perché ridimensiona, relativizza, riporta alla normalità. È a suo modo un antidoto all’esasperazione dell’attualità. Fa scomparire l’Italia estrema del berlusconismo nella normale continuità della nostra storia. La rende anche più mediocre, se è per questo, la fa più banale. Ma alla fine le dimensioni sono rispettate, le proporzioni non risultano assurde. Chi è stato vaccinato dalle manie di grandezza del Duce, per dire, non si fa impressionare dalla volontà di potenza del Cavaliere. Perché l’unico stile che Biagi conosce fino in fondo è quello del giornalista. Che è un modo per passare forse alla storia, ammesso che i giornalisti passino alla storia, facendo la cronaca.

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