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Anatomia in sala regia

26/12/2004

La settimana scorsa Raisat Extra ha ripetutamente mandato in onda la registrazione di una "Lezione di anatomia (televisiva)" tenuta al Policlinico Gemelli di Roma, rivolta agli studenti di medicina dell’Università cattolica. I due docenti erano il critico e storico televisivo Aldo Grasso ed Ettore Bernabei, direttore della Rai nel periodo 1961-1975 (il programma era curato di Luca Martera e Luca Nannini, ospite in cattedra il rettore della Cattolica, Lorenzo Ornaghi). La prima sensazione che si ha sentendo parlare il fanfaniano Bernabei, l’uomo a cui è attribuita l’espressione «gli italiani sono cinquanta milioni di teste di c…» è che il paese fosse allora, inizi degli anni Sessanta, ancora molto civile: «A quel tempo si rispettavano le minoranze», dice in apertura di lezione Bernabei, con l’aria di sottolineare che oggi invece no, forse meno, e comunque senza che sia l’intento di fondo. Questo approccio, unito all’idea che sempre allora ciò che contava erano «i diritti dei cittadini», tanto che l’Italia nella tv pubblica «fu il primo paese che diede diritto di accesso all’opposizione, con le tribune politiche», induce a riflessioni piuttosto sconsolate chiunque abbia ascoltato il discorso tenuto a Mestre da Silvio Berlusconi contro la par condicio, con un paragone pazzesco tra la vita di un partito e la politica pubblicitaria della Coca-Cola (ormai Berlusconi è ossessionato da 33 per cento, quota derivante «dal diritto naturale», limite a cui si colloca secondo lui il massimo di prelievo fiscale e la quota di mercato della bibita gassata, oltre che augurabilmente il voto a Forza Italia). Aldo Grasso è riuscito a dare una sintesi della storia televisiva italiana, spiegando che l’unificazione culturale non è stata realizzata dai programmi esplicitamente pedagogici (ad esempio "Non è mai troppo tardi"), bensì dalle grandi trasmissioni di intrattenimento tipo "Studio Uno". Mentre il clou della lezione è stato raggiunto da Bernabei quando ha spiegato che oggi la tv è «atea» sempre, «anche quando riprende una messa del papa». In questa concezione del nichilismo televisivo contemporaneo c’è una intuizione fortissima, che descrive l’essenza stessa della tv, il suo essere un blob indifferenziato, senza ormai nessuna gradazione di qualità intrinseca. La tv è amorale, cinica, trash: tutta. Se lo dice una democristiano tutto roseo e ancora intellettualmente arzillo, c’è da credergli.

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