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IL CAOS DELLE LIBERTÀ

11/11/2004

I deputati più ironici del centro-sinistra incrociano in Transatlantico qualche ministro o facente funzione, un Gasparri, un Matteoli o un Urso, e strizzano amichevolmente l’occhietto: «E fategliela questa riforma fiscale al Cavaliere, siate buoni». I gaddisti (da Gad, Grande alleanza democratica) più incattiviti, gente evidentemente maligna, psicologie vendicative, fanno con le dita lo storico gesto da commedia dell’arte del Pupone Totti alla fine della famosa partita con la Juve: sette pappine a zero, zitti e filare a casa. Qualcun altro motteggia facendo il gesto delle forbici o della spada: Zac, Zac, Zaccaria. Come il segno di Zorro nel centro di Milano. Oppure Dan Dan, D’Antoni. Campane a festa nel regno di Napoli. Quelli del centro-destra, invece. Già quelli del centro-destra. Ma esiste ancora il centro-destra, in Italia? Oppure si è già sciolto, liquefatto, vaporizzato, e la stessa Casa delle libertà si sta afflosciando come un edificio di marzapane imbibito di sambuca? Abbozzano, i casinisti della Libertà. Si stringono nelle spalle. Leggono Giuliano Ferrara per sentirsi rimproverare l’inconsistenza del governo e per sentirsi intimamente ancora peggio. «Dateglielo, questo taglio delle tasse». Ma non è mica così semplice, tagliare le tasse. Finalmente il supply-sider Berlusconi ha gettato la maschera e ha confessato la verità più ovvia, normale, apodittica: secondo cui le tasse bisogna ridurle ai ricchi, perché sono i ricchi che alimentano il circuito economico. Se gli si dà qualche euro lo buttano subito dentro l’economia. Non come i poveri, poveretti. Perché i poveri, lo ricorda sarcasticamente Enrico Letta conversando con il suo complice Pier Luigi Bersani, secondo la concezione berlusconiana «mangiano cibi da poveri, si vestono da poveri, abitano in case da poveri: sono poveri, è inutile cercare di aiutarli, è meglio nasconderli». Per la verità la battuta è di Quino, il classico autore di Mafalda: ma se il capo del governo dimostra di condividere questo pensiero, le cose diventano subito più chiare. «Non è un peccato guadagnare molto», ha dichiarato infatti il Cavaliere dopo che "L’espresso" aveva mostrato il fenomenale vantaggio fiscale della riforma a tre aliquote per la Silvio Berlusconi e fam. (nel senso di famiglia), e quando si è accorto che le spiegazioni di Paolino Bonaiuti, secondo cui il "Pres. del Cons." avrebbe devoluto in beneficenza il superbonus tributario, nonostante la buona volontà del portavoce, cadevano nel vuoto. O nel ridicolo. Commento filosofico dell’opposizione: «E chi se ne frega dove mette i suoi soldi il Cavaliere: che li dia ai poveri o che li spenda in bagordi, che li regali agli immigrati o che li doni alla fondazione degli idraulici è la stessa cosa, non è una questione che riguardi le aliquote». Eh già, lo Stato non è una faccenda discrezionale. Ma il Pres. del Cons. ha esternato dicendo che lui non ha il senso dello Stato, bensì il senso dei cittadini. Che cosa vorrà dire? Vedremo. Intanto è caduta la maschera di Domenico Siniscalco, che di fronte alle pretese di Berlusconi ha cercato di ripetere una volta di più il celebre "Mantra del tecnico": «La politica dica che cosa vuole e io provo a trovare la soluzione». Ma in questa occasione nel Consiglio dei ministri anche Re Silvio si è scocciato, ha sistemato il bottone interno del doppiopetto con la solita smorfia che fa quando è nervoso, e gli ha aperto il libro, squadernando il precetto: «Domenico, tu non puoi fare il ministro-burocrate: c’è una responsabilità politica e te la devi prendere». Conclusione parziale numero uno: bisogna dare i soldi ai ricchi, ma non troppi altrimenti Gianfranco Fini organizza un programma di governo alternativo, come ha accennato in una clamorosa quanto intempestiva intervista al "Corriere della Sera" (rilasciata mentre Berlusconi diceva «tutto va ben») e se è il caso introduce nel nome del popolo un’aliquota di solidarietà del 3 per cento per i redditi sopra i 100 mila euro. Conclusione parziale numero due, raccolta fra le stanze della Confindustria: «Ormai è chiaro che taglio delle tasse significa che pagheremo più tasse». Si era appena conclusa la dolorosa e fastidiosa vicenda di Rocco Buttiglione, ma evidentemente non ci può essere pace a destra. Oltretutto la bocciatura di Buttiglione si è risolta in un autogol spaventoso, con l’interim della Commissione a Romano Prodi, il dimezzamento politico e morale del povero Barroso, ridotto a una barzelletta, e una figuraccia disarmante in Europa, quell’Europa in cui dovevamo «contare di più», secondo il fantasioso motto del «non- euroentusiasta» Giulio Tremonti. Con il risultato che l’abbattimento di Buttiglione ha dato il via a un complicatissimo risiko ministeriale, riaprendo l’odiata (da Berlusconi) verifica, con la solita storia di rimpasti che non rimpastano mai, di soluzioni che non riescono a quagliare. E allora? Frattini in Europa e Fini agli Esteri, per esempio. Ma la Farnesina come accoglierebbe Gianfranco e il suo entourage post-missino, capeggiato da Salvo Sottile? E lui come se la caverebbe all’estero, come va con le lingue, con le abitudini, gli stili, i galatei diplomatici, il "Farnesinian style"? In Israele, ai tempi del «fascismo male assoluto», il capo di An non aveva dato il massimo, con quel giubbottino scamosciato da bodyguard in giornata libera e le sigarettine fumate passeggiando davanti all’albergo in attesa dell’auto. E poi, per quale motivo premiare il capo di An, dopo l’uscita disastrosa e inaspettata «ci vuole un nuovo programma di governo»? Il Pres. del Cons. è furibondo con il suo vicepremier, ma bisogna dire che l’incacchiatura di Berlusconi è anche il frutto di un gioco dei quattro cantoni in cui non si riesce mai a infilare tutti nell’angolo giusto. Se riesce quasi a incastrare Follini intimandogli di entrare nel governo come vicepremier salta su Tabacci che chiede in cambio la proporzionale. Se si guadagna il consenso di Bossi, che dall’ospedale manda a dire: «Non possiamo abbandonare Berlusconi perché con la devolution siamo entrati nella storia», deve poi fronteggiare l’idea, condivisa dai poteri forti a Milano e a Roma, che la riforma costituzionale di Calderoli sia una stupidaggine; e in prospettiva si profila il fantasma del referendum confermativo, su cui anche i suoi consiglieri sono scettici: «Silvio, abbiamo incassato il sette a zero nelle suppletive perché i nostri non vanno a votare; guarda che non andranno alle urne neanche per il referendum sulla riforma costituzionale, e se ci andranno, tranne i leghisti, voteranno tutti contro». Totale: la riforma della giustizia non va avanti per assenza del numero legale (e il processo di Cogne si ritorce con divertente simmetria contro l’avvocato Taormina), la Finanziaria è un morto che cammina, e a quanto si legge perfino i repubblicani del centro-destra hanno fatto la vocina grossa e reclamato un ministero economico. "Il Riformista" incenerisce per interposta persona lo stile del governo della Casa delle libertà a causa di Lulù. No, non è la labrador di Massimo D’Alema: «Lulù è Luana Bisconti, giovane fanciulla che un ministro del governo Berlusconi avrebbe adottato come figlia… In pratica, si ripete la stessa storia di Baldapadre e di sua figlia Francesca D’Auria, che nella Rai ai tempi del centro-destra ha dato un significativo impulso alla filantropia, per la serie: io uomo buono, tu donna bona, io ti faccio apparire, tu mi dai tanto amore filiale, mi basta questo. Adesso, quindi, l’impulso filantropico si sarebbe impadronito di un ministro berlusconiano che non citiamo (anche perché la moglie sarebbe all’oscuro dell’adozione) e così la brava Luana è riuscita ad avere un programma tutto suo…». Per gli interessati, il programma di Luana, ex pescivendola secondo le «fonti autorevoli» di via Teulada identificate dal quotidiano di Antonio Polito, si intitola "Diglielo in faccia". Sembrerebbe il basso impero, ma da tutto questo si capisce che il programma conta. Magari ridimensionato come vuole Fini, ma serve. I poteri sempre cosiddetti forti, soprattutto quelli milanesi, area Rcs, hanno fatto conoscere il loro giudizio allo staff di direzione del "Corriere della Sera": cari amici, noi siamo convinti che questa esperienza politica, vale a dire il governo Berlusconi, ha dato tutto ciò che poteva dare. Non era molto, ma ha esaurito il suo compito. Adesso bisognerebbe soltanto dirlo a Berlusconi, il quale invece insiste nel promettere la realizzazione integrale del programma e del Contratto con gli italiani. Intanto, dati economici sempre peggiori si accumulano. Caduta dei consumi, crollo della spesa per l’intrattenimento, abbandono dei ristoranti, stadi deserti. Se le cose stanno così, anche il centro-sinistra avrà il suo daffare, a mettere insieme – a adottare, diciamolo pure – un programma di salvataggio.

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